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14/03/25
ALESSANDRA NOVAGA + SILVIA CIGNOLI
TEATRO DELLA CONTRADDIZIONE, VIA DELLA BRAIDA 6 - MILANO
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The Police - Zenyatta Mondatta
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( 9453 letture )
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Dopo l'esplosione di successo seguita ai primi due album, per i The Police si aprì una fase molto delicata, quella della sovraesposizione. Il gruppo era già molto noto a livello mondiale e le prime frizioni interne cominciarono a mostrarsi, in particolare da parte da Sting, leader riconosciuto del gruppo, che intendeva far valere il peso delle proprie composizioni e della propria vena, arrivando a mettere dei propri stop ai brani dei compagni o a criticarli in modo feroce qualora comunque non fosse riuscito ad impedirne l’inclusione nei dischi. La necessità di mantenere il successo appena raggiunto e anzi rilanciarlo ad una dimensione ancora più grande mantenendo al contempo la grande vena innovativa della particolarissima combinazione musicale e delle personalità del trio, richiese uno sforzo notevole e probabilmente non pienamente riuscito, soprattutto per la velocità a cui la band fu costretta a lavorare per la realizzazione del terzo album, quello per molti fatidico. In effetti, il sottotitolo ideale per Zenyatta Mondatta (non sense nato dall’unione della parola "zen", del nome del leader africano Yomo Kenyatta, della parola francese "monde" e di "regatta" dal titolo del disco precedente) potrebbe essere: come rendere pop un gruppo rock/reggae cercando di non snaturarne la natura. Il tentativo fatto è appunto quello di divulgare alle masse il rock ampiamente influenzato dal reggae che aveva reso grande la band, veicolandolo all’interno di una più "elegante" versione pop ad alta tolleranza per il pubblico di massa. Un compito tutt'altro che facile, come molte altre band potrebbero testimoniare (citiamo ad esempio i Def Leppard di Hysteria o i Metallica del Black Album) e che è spesso il discrimine tra il grande successo e la consacrazione definitiva (altro esempio, Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen) o il flop clamoroso, tanto artistico quanto commerciale (e qui di esempi ce ne sono fin troppi).
Come detto, i tempi per la realizzazione del disco furono strettissimi, tanto che le canzoni furono composte in gran parte già in tour e le registrazioni finirono, secondo le parole di Stewart Copeland, il giorno stesso della partenza del nuovo tour. Questo non ha impedito all'album di essere estremamente curato da un punto di vista della produzione e dell'arrangiamento e anche se le infiltrazioni pop tendono per la prima volta a sgrezzare e levigare il suono generale, il caratteristico interplay tra i tre musicisti e i loro strumenti resta ancora predominante. Come predominante si conferma la vena compositiva intinta di rock, reggae e primordiali influenze punk, ormai a dire il vero praticamente non rintracciabili. Ma già dall'opener e successo mondiale Don't Stand So Close to Me, irresistibile e leggerotta canzone sull'amore adolescenziale di una studentessa per il suo professore, si percepiscono un certo ammorbidimento e uno spettro sonoro decisamente più ampio e livellato, specie se confrontato con il suono ruvido e scarno del disco di debutto. Ciò non impedisce comunque al basso e alla voce di Sting di tessere le proprie melodie, accompagnate al solito dal fantastico stile batteristico di Copeland, col contrappunto di Summers alla chitarra, musicista questo sempre lodato per la capacità di trovare uno spazio dove lo spazio non c'era, schiacciato come sarebbe stato tra l'egocentrismo del leader e la strabordante perizia del batterista. Per il chitarrista si profilava apertamente il vecchio ruolo del "mediano" e, invece, l'uso abbondante di effetti e un gusto davvero non comune nel trovare con poche note il modo di riempire i vuoti lasciando un'impronta sempre riconoscibile e caratterizzante, meritano davvero un plauso in un mondo nel quale i chitarristi credono intimamente che l’unico loro scopo sia quello di alzare il volume per coprire chiunque altro suoni con loro. A livello compositivo, la penna di Sting resta assolutamente predominante e così i due singoli di successo dell'album sono inevitabilmente suoi, mentre i compagni d’avventura si ritagliano qualche interstizio qua e là: due le composizioni di Copeland e una quella di Summers nel computo finale. In particolare su Behind My Camel, unica composizione in solitaria del chitarrista, è impossibile non citare l'aneddoto per il quale non solo Sting si rifiutò di suonare il basso sulla canzone (cosa questa che avveniva normalmente), ma arrivò ad odiarla talmente tanto da seppellire in giardino il master appena registrato. Un comportamento irrispettoso e da primadonna davvero difficilmente digeribile e che non impedì comunque alla canzone di vincere un –generoso ancorché "karmico"- Grammy come "miglior performance strumentale". Che il cantante/bassista fosse comunque in uno stato di grazia compositiva è innegabile ed è difficile citare un episodio davvero brutto tra i suoi brani, anche in presenza di un livello forse leggermente inferiore in questo terzo album rispetto a quanto realizzato in precedenza. A parte i due singoli, abilmente smussati e rifiniti ma formalmente perfetti, nella scaletta si segnalano una bellissima Driven to Tears, la divertente Canary in a Coalmine, la riuscita Man in a Suitcase e la ruffianissima When the World Is Running Down, compiutamente pop. Tutti brani che avrebbero fatto la felicità di altri compositori dell'epoca e che mostrano anche una vena lirica più politicamente orientata; fattore questo che diventerà sempre più presente nei brani di Sting e che troviamo anche nell’ottima Bombs Away, scritta da Copeland e incentrata sull'invasione sovietica dell'Afghanistan. Un brano questo che si inserisce in maniera assolutamente perfetta nello stile compositivo dei The Police e che presenta anche un ottimo assolo di Summers in distorto. Non è però un caso che siano proprio questa e l’altra composizione di Copeland, la conclusiva The Other Way of Stopping, a mostrare una dinamicità maggiore e più legata ai dischi precedenti.
Come facilmente intuibile, l'album ottenne un ottimo successo, piazzandosi in quarta posizione negli U.S.A. e in prima nel Regno Unito. Un successo che cementificò il monumento che la band stava guadagnandosi e che l’avrebbe a breve resa una delle compagini di maggior rilievo dell'epoca e dell'intera Storia del Rock. Nel tempo, Zenyatta Mondatta ha dovuto reggere l'urto di essere stato il primo disco scopertamente commerciale del gruppo e forse anche quello meno amato nel complesso, anche a causa della lavorazione affrettata che rese insoddisfatti gli stessi musicisti. Gli impulsi verso una maggiore fruibilità della proposta, che diventeranno in realtà anche maggiori nei dischi successivi, lo avvicinarono alla nascente scena new wave e a quel "new romantic synth pop" che da qui in poi farà sfracelli nelle classifiche mondiali, pur conservandosi molto forte la componente rock e reggae che è stata la cifra della band sin dagli esordi. Siamo quindi ancora lontani da Wrapper Around Your Fingers e soprattutto Every Breath You Take, ma è da questo disco che la strada verso il mainstream comincia ad essere tenacemente intrapresa. L'album presenta in definitiva alcune significative novità, affiancate da altre conferme, prima su tutte la leadership di Sting e la sua superiore capacità compositiva, per proseguire con la ormai rodata e consolidata qualità strumentale di Summers e Copeland e chiudere con la consueta capacità di svariare tra molteplici influenze con una facilità che ad altri non sarà concessa mai. Il trio delle meraviglie girava ancora su ottimi livelli in questo disco e un momento di leggero appannamento non ne avrebbe comunque rallentato la corsa e l’inevitabile definitiva consacrazione. Certo da qui in avanti molti fan della prima ora e della versione più cruda dei The Police rimarranno un po' delusi, perdendo progressivamente interesse alle uscite del gruppo; ma si sa, "piacere a tanta gente è una gabbia seducente", come dirà qualche anno dopo un reduce proprio della new wave come Piero Pelù.
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Meno bello dei precedenti e anche dei successivi. 75 per me. |
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Attendo le recensioni di Ghost in the machine e Synchronicity... |
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Behind my camel non ha niente che non va, è un ottimo brano come tutti quelli incisi dai Police... |
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Io condivido quanto detto da HM is the law: questo è sempre un gran bel disco dei Police ma io personalmente ho sempre trovato i due lavori precedenti nettamente superiori. |
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Altro gran disco magari meno bello dei precedenti ma 80 ci sta tutto |
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@ jek, è roba buona!!!  |
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@deedeesonic poenta, radici, osei, ossada, rane, riso e che è  |
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@ jek, hei! Io sono del nord del Po e si mangia benissimo: poenta e osei, poenta e baccaeà, pasta e fasioi, sarde in saor, pan del doge, prosecco de Coneìan, radici e fasioi, muset col kren, risi e bisi, clinto, l'ossada dea mussa, riso coe rane, ossocol, saeame de casada, figadei, ecc. ecc. non offendiamo  |
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Merci dell'invito Monsieur jek. Ci stiamo interessando ad alcuni produttori di Lambrusco DOC e sarò dalle sue parti, immagino, tra non molto. Quindi avrò il piacere. Tutto buonissimo, ma occhio al colesterolo... Au revoir. P.S.: Sting, invece, preferisce il Chianti. |
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Caro Marchese a nord del Po stelle o non stelle si mangia solo pane e nebbia. Se vuoi mangiare come devi venire qua in Emilia  |
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questo e un bellissimo album davvero raga |
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Soprattutto se le rane sono cucinate da Nadia Santini del Ristorante dal Pescatore di Canneto sull'Oglio (3 stelle Michelin...), caro Monsieur jek. |
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Sul fatto che sia decisamente più commerciale il mangiarane qui sotto ha un po' ragione. |
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Aggiungo che avevano scimmiottato il titolo Regatta de Blanc dopo il successo avuto, per "ingannare" il pubblico con un titolo similare. Almeno, così dicevano le riviste specializzate dell'epoca (mi sembra Rockstar in Italia). Quindi il fatto che fosse un dischettino commerciale, lo avevano capito già allora, altro che min...ate. Ergo... |
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Non sapevo di ballare il reggae e di essere una ragazzina. Evidentemente la barba inganna anche me stesso. |
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Il Marchese colpisce ancora! A suon di min...ate come al solito. Vabbé commento buttato lì per fare un po' di polemica... |
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Dischetto per ballerini amati del reggae e ragazzotte che sognavano di farsi fare (in modo Zen, of course) da Sting. Mi sorprende sempre chi considera questi modaioli commerciali come un gruppo innovativo. Bah... |
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Anch'io ho il vinile, inferiore ai precedenti ma grande disco. A proposito di Sting ricordo un'intervista di Summers in cui diceva che i Police sono molto democratici per cui la maggioranza vince tranne che se la minoranza non è Sting. |
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è quello che mi garba meno dei police. per dire gli preferisco pure ghost in the machine che è piuttosto ostico. becca cmq un 75. 100 a reggatta de blanc e al capolavoro synchronicity |
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Pure io ho il vinile chiuso in cassaforte  |
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Altro vinile che consumai. |
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Beh, troppi ricordi....certo che far vincere un pezzo come Behind my camel migliore strumentale, davanti a YYZ, ci vuole un bel coraggio. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Don’t Stand So Close to Me 2. Driven to Tears 3. When the World Is Running Down, You Make the Best of What’s Still Around 4. Canary in a Coalmine 5. Voices Inside My Head 6. Bombs Away 7. De Do Do Do, De Da Da Da 8. Behind My Camel 9. Man in a Suitcase 10. Shadows in the Rain 11. The Other Way of Stopping
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Line Up
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Sting (Voce, Basso, Sintetizzatori) Andy Summers (Chitarra, Chitarra synth, basso su traccia 7) Stewart Copeland (Batteria, Sintetizzatori)
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RECENSIONI |
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