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21/12/24
GORY BLISTER + AYDRA
RCCB INIT, VIA DOMENICO CUCCHIARI 28 - ROMA
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( 12372 letture )
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L’ARTWORK Totalmente immersa in una natura apparentemente grigia e inespressiva, si erge un’opera architettonica nostalgicamente evocativa dei fasti di un lontano passato, ma al contempo è quasi come la sua immagine riflessa emergesse dalle oscure profondità di torbide acque. È questa l’immagine che gli Opeth scelsero come artwork per Morningrise, secondo capitolo della loro straordinaria carriera, quasi a voler mettere in risalto quella dualità, quella dicotomia che li ha da sempre caratterizzati, specie negli anni migliori. Lo scenario, volutamente ingrigito, è in realtà rigoglioso, è lo scorcio di un parco inglese e la struttura in primo piano non è altro che un ponte. Ed è proprio questo ponte tra classicismo e oscurità che metaforicamente Åkerfeldt e soci dovevano attraversare per giungere alla loro definitiva consacrazione. LA DICOTOMIA In linea con quanto premesso, il sound proposto si compone di due fasi salienti, che si avvicendano e si alternano come in un gigantesco mosaico. Tuttavia ricostruirlo non è affatto un’impresa banale, dato che spesso le tessere che lo compongono e che si affiancano le une alle altre danno l’impressione di non combaciare ai loro contorni, ma il legame che le tiene unite insieme esiste ed è sempre una straordinaria sorpresa vederle lì vicine le une alle altre, una volta collocate nella giusta posizione reciproca. Di certo c’è ed emerge sovente una componente più aggressiva, caratterizzata da una sezione ritmica sostenuta, merito non soltanto del puntellamento delle percussioni, ma anche di una linea di basso fondamentale nella creazione dell’intelaiatura necessaria, oltre che in primo piano in diversi passaggi tra tasselli contigui. A increspare il suono complessivo ci pensano essenzialmente non solo il guitar work, ruvido e rasposo ma al contempo tecnico e imprevedibile, bensì anche e soprattutto le parti vocali, che in questa fase prendono vita attraverso un efferato scream/growl, più che altro qui orientato verso lo screaming, a dire il vero. Combinando insieme questi elementi ci si ritrova così a momenti a essere dirottati in atmosfere fosche da un riffing spettrale, ineffabile e allo stesso tempo a sentire il sangue raggelarsi nelle vene sotto i nefasti influssi di una vocalità glaciale e agghiacciante. La seconda fase è quella in cui invece trova dimora anche l’alter ego del vocalist Mikael Åkerfeldt, che si esprime attraverso una voce in clean armoniosa, calda ed avvolgente, dai toni bassi e dall’intensità smorzata; ma è soprattutto quella imperniata su ampi mid tempo strumentali, intrisi di sonorità acustiche, dominati da un ordito di arpeggi e fraseggi chitarristici che a volte entrano in simbiosi ma più spesso paiono seguire binari paralleli che finiscono per non incontrarsi mai e che al contempo, interallacciandosi tra di loro, danno vita alle forme geometriche più svariate e imponderabili. Il risultato è spesso di non facile lettura, lungi dall’essere votato alla ricerca dell’appiglio melodico cui facilmente aggrapparsi, ma volutamente arcano e in ultima analisi perfino criptico. LA DIATRIBA Proprio in questo suo essere criptico è da ricercarsi uno degli aspetti che maggiormente permeano quest’opera, che insieme all’inusuale durevolezza delle composizioni, fa sì che anche dopo anni di ripetuti ascolti essa continui a serbare al suo interno zone d’ombra, sezioni sempre inedite ad ogni nuovo ascolto, quasi come se volesse dannatamente continuare a sfuggire da schemi mentali ben definiti, quasi come se non volesse farsi catturare attraverso facili processi di assimilazione. Questa è probabilmente la principale ragione cui si può ascrivere la sua immortalità, ma di contro financo la sua innegabile dose di inaccessibilità. Come in tutte le opere non facilmente decifrabili, ecco dunque che molti, com’è accaduto e continuerà ad accadere, ne rimarranno estasiati, ne saranno rapiti perdendo la cognizione del tempo e perfino di se stessi, mentre altri hanno trovato e troveranno ancora ostico il percorso tracciato, decidendo di abbandonarlo, derubricandolo come un mero esercizio tecnico privo di emotività. Il motivo è semplice, si tratta di un’opera che per essere interiorizzata ha bisogno che si sia disposti a viverla con un senso di abbandono e di trasporto che prescindano dalla propria volontà e dal proprio desiderio di avere tutto sotto stretto controllo. Solo allora forse si riuscirà veramente a carpirne l’essenza e a finire persino per bruciarne di passione. IL GENERE E LE INFLUENZE Procedendo oltre, a complicare ulteriormente il quadro c’è anche da tenere in considerazione il fatto che anche sull’esatta definizione del genere sotto cui classificare il sound espresso dagli svedesi in questo disco non esista una chiave di lettura univoca. Senza ombra di dubbio, non solo la componente preponderante è quella progressive metal, ma quest’ultima viene qui pesantemente estremizzata. Facendo ricorso a effetti e tecniche chitarristiche sopraffine, gli axemen Åkerfeldt e Lindgren, coautori di tutte le musiche, sciorinano una serie impressionante di riff differenti, tutti di classe e di pregevole fattura, che peraltro raramente si ripetono allo stesso modo all’interno degli stessi brani. A coadiuvarli magnificamente c’è il basso di Johan De Farfalla che, oltre a concedersi fugaci assoli, dà grande dimostrazione di tecnica e in certi frangenti contribuisce a meraviglia, insieme alle due asce, all’apoteosi dei cordofoni, protagonisti assoluti dei circa sessantotto minuti di quest’opera, senza nulla togliere alla prova dinamica e flessibile del drummer Anders Nordin, che in un batter d’occhio passa da un martellante tappeto di doppia cassa ad adornare i momenti più dimessi con il solo fruscio dei suoi piatti. Anch’egli, come del resto De Farfalla, partecipa per l’ultima volta alla realizzazione di un disco degli Opeth e non è un caso che ci sia ancora chi li rimpianga entrambi. Il songwriting è assolutamente non convenzionale, rifugge da ogni schema precostituito, prescinde dall’uso dei refrain, punta essenzialmente su composizioni lunghissime (almeno dieci minuti cadauna) in cui la stragrande maggioranza del tempo è concesso e riservato alle parti strumentali, che sospingono i brani in avanti senza lasciar trasparire nulla di ciò che avverrà in seguito. Non ci sono orpelli di vario genere, qui non si scende a compromessi, ma si offre una manifestazione di tecnica e imprevedibilità che hanno pochi eguali nel settore senza mai scegliere il percorso più semplice e diretto, cavalcando pulsioni oscure, trasudando mistero e inafferrabilità, puntando essenzialmente sulle grandi potenzialità offerte da architetture composite e articolate, in una logica in cui il cambio di ritmo, del livello di saturazione e di distorsione avvengono improvvisamente, inesorabilmente e sovente persino inspiegabilmente. Quest’ultimo è l’aspetto più disarmante: raramente si assiste difatti a cotanti innumerevoli mutamenti del livello d’intensità in maniera così continuativa, dal soave arpeggio dal sapore classico che riecheggia tristemente solitario, alla manifestazione di una forza devastatrice che sgorga come magma incandescente dai crateri dello swedish death. Il silenzio, perfino quell’enorme silenzio che fa da sfondo assume il ruolo di protagonista, dato che paradossalmente quando il livello di saturazione cola a picco improvvisamente sembra quasi di poterlo udire distintamente. In realtà alcuni aspetti, tra cui il registro vocale prevalentemente usato, lasciano trasparire innegabilmente anche influenze di derivazione black, tanto che a rigore si dovrebbe parlare più propriamente di un miscuglio tra prog e blackened death, ma sta di fatto che quest’opera sia ancora oggi considerata come capostipite di un certo modo di intendere il prog death, potente e robusto ma anche ricco di continui spunti improntati al migliore prog rock d’annata. RETROSPETTIVA SUI BRANI L’opera inizia con Advent, dando fin dalle prime battute un saggio di ciò con cui ci si dovrà confrontare, visto che si tratta certamente di uno dei brani più macchinosi del lotto, contenente in sé tutte le caratteristiche già genericamente descritte, compresa l’esplosione di feroci linee chitarristiche e vocali. Dalla release del 2000, è stata aggiunta come bonus track anche Eternal Soul Torture, scritta nel 1992 in collaborazione con David Isberg, frontman della band nei suoi primi anni di vita. Ebbene, non è certo un’impresa ardua riconoscere in quella traccia porzioni che poi sono state riprese per creare Advent, a testimonianza del fatto che le idee avevano già iniziato a prendere forma da qualche tempo (Åkerfeldt era solo diciottenne allora) ma che dovevano essere semplicemente rielaborate al momento opportuno e con i giusti mezzi a disposizione. Si prosegue poi con The Night and the Silent Water, che ha un significato particolare per Mikael Åkerfeldt, autore di tutti i testi, giacché a quel tempo la scrisse in memoria del nonno scomparso poco prima. Difatti a tratti il clima che si respira in questo brano è profondamente malinconico, fino a sfociare nel commiato conclusivo in cui, in un groviglio di scariche elettriche sostenuto dal rimbombo della cassa, i seguenti versi sono decantati con voce tetramente sussurrata: You sleep in the light Yet the night and the silent water Still so dark... Nectar offre una delle migliori dimostrazioni del livello di aggressione sonora di cui sono capaci gli svedesi e, verso il finale, l’elettroshock arriva quando inaspettatamente la voce in un brevissimo lasso di tempo passa da un clean docile e mellifluo ad un truce urlo in scream che di colpo irrompe in tutta la sua malefica brutalità: The mist of morning linger before it leaves Invisible eyes, red reflection It is you Smiling in the midst of the moor Black Rose Immortal è invece il brano più lungo mai edito dagli Opeth, della durata di oltre venti minuti, proveniente da materiale originariamente composto per il debut album Orchid. Insieme a Advent si tratta probabilmente del brano più intricato e variegato, uno di quelli in cui i tre cordofoni sprigionano al massimo tutta la loro virulenza, anche se probabilmente il momento che più rimane impresso è l’unico in cui vengono enunciate le parole del suo titolo, attraverso un gelido sospiro; quando sembra che il brano sia oramai spirato insieme ad esso, invece riprende su binari deprimenti, prima dell’avvento di una pioggia elettrica e dello squarcio aperto da uno scream lunghissimo verso il finale. Chiude i battenti splendidamente To Bid You Farewell, l’episodio più lineare se vogliamo, in cui l’aria si fa più rilassata, mentre l’andamento è quello di una ballata. In questo brano la propensione prog settantiana trova la sua massima espressione, si libra dolcemente, con il cantato in clean che si fa nostalgico, come nelle arie sabbathiane più malinconiche, mentre le linee acustiche paiono rievocare echi pinkfloydiani. Ciò che rende ancor più brillante il risultato complessivo è il magnifico lavoro di produzione, eseguito in collaborazione con Dan Swanö. Nello stesso periodo in cui venivano registrate le tracce di Morningrise, usciva Crimson, immenso capolavoro cui lo stesso Åkerfeldt contribuì personalmente, perfezionando il sodalizio tra i due artisti. CONCLUSIONI Morningrise pertanto nasce in parte dalla rielaborazione di materiale preesistente e può considerarsi anche come proveniente da una costola di Orchid. Tuttavia, esso rappresenta un chiaro passo in avanti rispetto al suo predecessore, non tanto in termini qualitativi assoluti, quanto perché è la prima vera prova di maturità della band svedese e del genio di un Mikael Åkerfeldt in uno degli anni più luminosi del suo percorso musicale. Nel tempo ne sono usciti di album meravigliosi e complessi allo stesso tempo, ma questo di certo fa parte del novero di quelle opere che non cesseranno mai di far parlare di sé, che magari non saranno destinate a tutti, ma che di certo hanno segnato le generazioni future. In ultima analisi, Morningrise ha rappresentato un’indispensabile tappa in una carriera per lunghi anni brillante, che condurrà gli Opeth nell’Olimpo delle più grandi band della storia del metal e non solo, scrivendo altre pagine memorabili come Blackwater Park e Damnation, giusto per citarne un paio.
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91.74 su 143 voti [
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42
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Cosa posso dire, non si danno voti a dischi così perchè emoziona e fa riflettere, senza dimenticare la rabbia che va e viene alternata da parti acustiche da brividi.
La sola \"Black rose immortal\" vale da sola l\' acquisto e questa basta per farlo essere anche il mio disco preferito .
Un disco magico, come essere immersi nella natura fino a diventare un tutt\' uno con essa, come specchiarsi in uno stagno o in un lago se preferite e vedere il mondo puro e pulito, un sogno???....magari si, di sicuro gli Opeth erano in un\' altro mondo con questo disco ma con tutti gli altri fino a Watershed direi.
VOTO: S.V. |
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Il mio album preferito degli Opeth, ascoltato per un paio di mesi in loop nel tragitto casa-lavoro, mi sono innamorato di ogni nota. E la cupezza della musica faceva da accompagnamento ad un clima grigio e piovodo, tutto al posto giusto. |
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2 Centro E Gioiello. Voto 90. |
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Sarò rapido...90 questo grandissimo album, 91 Watershed...c'è qualcosa che non va! |
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Disco bellissimo come il primo. Peccato dopo pian piano... |
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che disco bello, ma che dico, bellissimo. E quando leggo i testi è ancora più bello. Una delle cose più belle che ho sentito dall'umanità. Ma che dico più belle, direi magnifiche. Arte incredibilmente bella. Grazie Opeth. |
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Raffinato, elegante, maestoso. Una delle punte di diamante assieme a Still Life, Blackwater Park e Ghost Reveries. Voto 100. |
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Uno dei più bei dischi che abbia mai ascoltato...sicuramente il mio preferito nel genere! Inutile dire che è il migliore degli Opeth! Monumento a quest'album Voto 99 |
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dico solo che mi ha cambiato la vita |
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L'accoppiata Black Rose Immortal e To Bid You Farewell è commovente per quanto è bella. Geni assoluti. |
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Capolavoro assoluto,il mio preferito degli Opeth uno dei pochi album della storia della musica a cui darei 100,emozioni pure. |
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Album che mi ha fatto seriamente emozionare, the night and the silent water spettacolare |
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Uno dei migliori album che abbia mai sentito. Estremamente emozionante e malinconico. |
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Un monumento di album insieme ad Orchid. Anche se fino a Deliverance-Damnation sono tutti capolavori. Gli altri due li conosco poco. Poi stop x me. |
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Per me il loro capolavoro insuperato. Se la gioca con il precedente "Orchid". Dischi dal sottoscritto ascoltati fino alla nausea. Voto: 99 |
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The night and the silent fa venire le lacrime agli occhi per la sua bellezza |
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a mio avviso il migliore degli opeth |
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Questo l ho sempre trovato piu noioso rispetto al precedente e ai due successivi |
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Preferisco orchid... nonostante siano molto simili a livello di sound e struttura dei brani |
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Cosa si può dire di un album così: mamma mia!!! Vorrei lo rifacessero coi suoni attuali e una produzione degna di questo nome... verrebbe fuori una roba da [EDIT: contenuto rimosso]!!! |
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Amo fortissimamente i primi album degli Opeth, e questo e' un gioello puro, mi procura delle emozioni indescrivibli dall' inizio alla fine senza mai stancarmi, genialita' e arte allo stato puro, altro capolavoro targato Opeth. |
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Una perla di album. Bello, ispirato fino all'ultima nota, stacchi acustici interessanti... |
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capolavoro assoluto ,consumato all'epoca ,probabilmente il mio disco preferito degli Opeth . Dopo sono cambiati percorrendo altre direzioni che ho apprezzato meno ma di ugualmente assoluto livello , di sicuro uno dei gruppi migliori degli ultimi 20 anni |
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L'unico album degli Opeth (con Still Life) che riesco ad ascoltare con piacere in tutta la sua interezza. |
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Una band che ha dato un senso all' evoluzione del metal. |
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bella recensione, me per me questo è uno dei capolavori degli opeth, un disco "avanti" anni luce ai tempi. voto 98 |
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Disco molto bello anche se (colpevolmente) non lo metto su molto spesso, non so perché. Comunque come diceva Andrea il lavoro uscito quest'anno dei Witherscape di Swano è veramente ottimo, lo consiglio a tutti. |
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GRAZIE,.,.,.,., Complimenti a METAL3K.,.,.,. HTEPO.,. |
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Forse l'album più bello che hanno fatto, gruppo d valore indiscusso |
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Che dire? Un capolavoro che segna la fine della loro primissima fase e un disco assolutamente perfetto. Gli Opeth dopo cambieranno, forse produrranno dischi anche più belli, ma non torneranno mai più su questo sound. Da avere obbligatoriamente. |
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Sulla levatura di Dan Swanö non si discute, sia per la sua straordinaria e poliedrica carriera, sia per l'immenso lavoro che ha svolto e continua a svolgere nella produzione di un'infinità di dischi di altissimo livello. Lo stesso Åkerfeldt lo definisce: "la nostra guida" nei ringraziamenti finali presenti nel booklet di Morningrise. Non credo ci sia competizione tra i due e personalmente non ritengo che sia opportuno metterli a confronto, nel senso che si tratta di grandissime personalità diverse tra loro. Certo vederli all'opera insieme in Crimson (che ritengo essere il lavoro più straordinario espresso da Dan nella sua carriera, senza nulla togliere ai Nightingale, su cui concordo) o nei Bloodbath è stato davvero entusiasmante. Riguardo a Dan Swanö devo dire che ho apprezzato parecchio anche il suo ultimo lavoro, targato Witherscape. Se vi fosse sfuggito vi invito a recuperarlo! Per il resto aggiungo che ho gradito molto i vostri complimenti, grazie |
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10
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Capolavoro. Black Rose Immortal è il loro pezzo migliore della discografia! |
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@ayreon: amo molto gli opeth ma a mio gusto, su quello che dici, anche se molti saranno contrari, non ci piove. Swano è un genio |
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swano è nettamente superiore ad akerfeldt,date un occhio a tutti i suoi progetti ,per me il suo migliore sono i Nightingale,ma anche gli altri comunque.... |
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Sono contento che sia uscita questa recensione. Morningrise è in assoluto il mio album preferito di questa band davvero straordinaria, che farà altri grandissimi album in tutto il corso della loro carriera ma non del livello dell album in questione. 5 capolavori indescrivibili che superano tutti i 10' da assaporare e godere nota per nota. Black Rose Immortal il mio loro pezzo preferito in assoluto. Complimenti anche alla recensione, l'ho trovata molto originale ! |
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6
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uno dei pochi dischi che prende il 100/100. MUST HAVE |
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Grandissimo disco, vario e impressionante. Un capolavoro! E grandiosa anche la recensione. Voto: 93 |
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Il mio preferito, magnifico. Splendida recensione! |
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To Bid You Farewell è il miglior pezo degli Opeth. |
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Il mio primo disco degli Opeth. Love! Ottima recensione. |
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Lo aspettavo. Grande Andrea, bellissima recensione per uno dei capolavori degli Opeth, per me il loro apice insieme al debut e a Still life...e poi Dan Swano vuol dire fiducia, eccezionale |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Advent 2. The Night and the Silent Water 3. Nectar 4. Black Rose Immortal 5. To Bid You Farewell
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Line Up
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Mikael Åkerfeldt (Voce, Chitarra elettrica e acustica) Peter Lindgren (Chitarra elettrica e acustica) Johan DeFarfalla (Basso) Anders Nordin (Batteria, Percussioni)
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