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27/12/24
EDOARDO BENNATO
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA ENNIO MORRICONE, SALA SANTA CECILIA - ROMA
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Devin Townsend - Infinity
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( 5773 letture )
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Se andiamo ad analizzare nel dettaglio la sconfinata discografia di Devin da solista, poniamo tre opere come decisamente fondamentali: Terria, Deconstruction e Infinity. Non parliamo di dischetti qualunque ma di veri e propri capolavori che non dovrebbero mancare nella discoteca di qualsiasi appassionato di progressive metal che si rispetti. Infinity ha tutte le carte che rendono oggi l’artista canadese come uno tra i più imitati e influenti a livello sonoro nel mondo metallico; il metal, nell’accezione più moderna del termine, passa indubbiamente da qua. Ciò che rende Devin Townsend fondamentale al giorno d’oggi è la sua poliedricità in un ambiente sempre più saturo e ancorato a certi stilemi; è il suo essere serio quanto faceto, il suo songwriting a livelli stellari e soprattutto i suoni che riproduce nei suoi dischi. Il muro creato con gli Strapping Young Lad non è ancora alla portata di nessuno: basti pensare che molte band suonano con chitarre a otto corde senza raggiungere neanche di striscio quell’impatto e quella ferocia datata 1997. Ci collochiamo in quegli anni quindi, in cui a Devin fu diagnosticato un disturbo bipolare. Furono anni di droga e instabilità; cade qui il discorso che insinua che spesso e volentieri i grandi dischi vadano di pari passo con gli stupefacenti: Deconstruction e Addicted vennero scritti in seguito da un Devin non fumante, non drogato e non mangiante carne. Si tende a descrivere il primo, spesso e volentieri, come una brodaglia sconclusionata; in realtà è l’unico disco che è stato in grado di proseguire il discorso di City e di dire ancora una volta come si debba suonare musica estrema in tempi moderni. L’innovazione quindi è sempre di casa quando si parla di quest’uomo: mai un disco uguale a un altro e mai una cocente delusione. I bassi nella carriera li hanno ovviamente tutti, ma avere nel complesso più di una ventina di album alle spalle di cui nessuno insufficiente e diciamo cinque capolavori è roba per pochi. Veniamo quindi a noi e a questo bellissimo album.
INFINITY E’ l’arpeggio di Truth ad aprire le danze e quasi subito si sentono echi degli Strapping Young Lad a livello di stratificazione del suono e chitarre con quell’inconfondibile marchio di fabbrica. È fantastica la linea vocale a sfondo onirico che si staglia dal nulla e si alterna con aperture che offrono sampler potentissimi. Nonostante i suoi quattro minuti, possiamo tranquillamente considerare Truth come l’intro del disco, che viene presto surclassata dall’ottimo pop metal offerto da Christine. Qui parliamo di un pezzo solare e melodico, un format che sarà poi ripreso negli anni a venire; il tutto funziona a meraviglia e offre linee vocali orecchiabili e assimilabili praticamente al primo ascolto. È buono il ponte in scream in cui tornano prepotenti echi dell’allora band madre di Devin; dura però poco e l’ariosità della canzone viene mantenuta offrendo una performance di tutto rispetto.
BAD DEVIL E WAR, UN CAPITOLO A PARTE Perché un trafiletto dedicato a due sole canzoni? È semplicissimo: sono tra le più belle mai scritte da Devin e meritano rigorosamente una menzione particolare. Quando si ascolta la prima quasi ci si figura il sorrisone di Gene Hoglan mentre sta per andare dietro all’organetto iniziale. Bad Devil ha un andamento focalizzato su un mid tempo contornato da trombe, trombette, tromboni e un tappeto di cori che riduce il tutto a un piccolo grande musical. È una traccia irresistibile e solare alla massima potenza, potrebbe anche farvi ballare, nel caso abbiate voglia di vivere; questo tipo di traccia diverrà poi una sorta di marchio di fabbrica che spazierà da Vampolka a Lucky Animals e altre amenità. War invece entra senza nessun equivoco direttamente nella top ten townsendiana di sempre. War è Devin e vale da sola l’acquisto del disco. La guerra secondo il canadese ha un andamento iniziale ritmato e irresistibile, basato su un paio di note e un crescendo che sfiora la perfezione a base di sampler, cori e un riff di chitarra che definire azzeccato è poco. La linea vocale è pazzesca e non ci si fa mancare neanche una sorta di mitraglietta eseguita col rullante tra una strofa e l’altra. È una canzone bifronte questa: offre una prima parte che più allegra non si può e una seconda più oscura, dissonante e orientata verso il sound spietato di City. Da notare come la prestazione al microfono sia grezza ma comunque di altissimo livello; oggi Devin è migliorato tantissimo, probabilmente ha anche studiato, ma questa sua versione ha sempre dei perché e riesce sempre e comunque ad emozionare nonostante non sia ancora pienamente affinata. Il finale è spiazzante quanto meraviglioso: si lascia spazio alla sola voce effettatissima accompagnata dalla chitarra e il tutto risulta talmente bello da portare l’ascoltatore alle lacrime, sia in questa versione che in quella più recente cantata da Anneke Van Giesbergen, oggi fida compagna (musicale) di Devin.
SI CONTINUA… Soul Driven Cadillac è un pezzo abbastanza interlocutorio e che potrebbe far venire molto facilmente il mal di testa a chi si approcciasse per la prima volta all’artista canadese con queste note. La forma canzone è sì mantenuta, ma il livello di effettistica vocale è talmente pompato che potrebbe suscitare disturbi o, più facilmente, la pressione del tasto skip. Parliamo quindi di una traccia di passaggio, buona ma non memorabile, se teniamo conto da dove veniamo; non si tratta di un filler, perché Soul Driven Cadillac risulta comunque un esperimento funzionale in un disco che almeno ne ha generati altri tre o quattro. È assurdo il minuto finale, in cui Devin gorgheggia accompagnato da sampler più o meno sinistri.
ANTS E WILD COLONIAL BOY, LA GENESI DI UNA BESTIA Anche in questo frangente c’è bisogno di un ben definito trafiletto. Come detto prima, le idee di Infinity furono necessarie, sia per arrivare alla maturazione artistica totale di Devin che per la conseguente creazione di format o dischi che diventarono capolavori o trademark ben definiti. Ants ha un andamento e un incedere che risulta inevitabilmente collegato al più recente Deconstruction. Parliamo di un pezzo circense, funambolico a livello di chitarra, zeppo di scale cromatiche e cori deliranti; sembra quasi una polka resa metallica, irriverente e perché no, stupida in senso buono. Questi sono elementi fondamentali nell’ultimo capolavoro targato Devin Townsend Project, in cui suona anche gente di poco conto tipo Fredrik Thordendal, Paul Masvidal, Dirk Verbeuren, Mikael Akerfeldt, Ihsahn, Tommy Giles Rogers, Joe Duplantier, Greg Puciato, Oderus Urungus e Floor Jansen, per chi non lo sapesse, giusto robetta. Wild Colonial Boy si rivela un’altra piccola grande gemma che viene incastonata con grazia magistrale e ancora con un incedere da musical che risulta come un gran bel valore aggiunto al disco. La linea vocale rasenta la perfezione, è sognante, decisa e altamente evocativa, quasi da film. Il bridge centrale ha fattezze in terzine e quasi sembra di assistere a un liscio suonato in balera; ci soffermiamo però sul ritornello, che rimanda tantissimo alla parte finale di The Mighty Masturbator. Probabilmente possiamo quindi considerare Ants e Wild Colonial Boy come gli embrioni di uno dei dischi progressive metal migliori dell’ultimo decennio e forse di sempre.
L’ARTWORK, UN PICCOLO APPUNTO L’impatto visuale di Infinity è semplice e minimale: la copertina rappresenta Devin nudo e rannicchiato su sfondo bianco, con in bella vista la scritta Canada tatuata sulla sua gamba destra. Sorge solo una domanda spontanea: perché questa copertina? Col senno di poi avrebbe rappresentato meglio il successivo Terria, la cui copertina a sua volta avrebbe rappresentato al meglio Infinity! Ai posteri l’ardua sentenza, ma l’album in cui Devin si mette metaforicamente nudo non è di certo questo!
VERSO LA FINE Life Is All Dynamics inizia con chitarra e voce e il solito incedere poppeggiante e solare che ormai permea quasi tutto il disco. Il ritornello è ottimo e di facile presa, con un briciolo di rabbia in più rispetto alle precedenti composizioni. Infinity non ha la pretesa di picchiare duro come gli Strapping Young Lad, si sente e non è un problema; quei suoni vengono messi al servizio di partiture più progressive e ariose ed il risultato è comunque più che notevole. Il pezzo si rivela ottimo sotto tutti i punti di vista, complice la sua giusta collocazione nella tracklist e un risultato che riesce a emozionare nonostante i ben più ingombranti highlight proposti precedentemente. La chitarra che introduce Unity e il mood seguente sembrano giusto un preambolo a Terria, che sarebbe uscito poco tempo dopo. È un pezzo che non sfigurerebbe neanche in quella tracklist, risultando perfettamente in linea a livello musicale con l’apice compositivo di Devin. Unity, il pezzo più lungo di Infinity, è toccante e commovente, intimo e malinconico. L’unico suo neo è l’essere strumentale, il che finisce per deturparne un pochino la bellezza: probabilmente se fosse stato cantato sarebbe stato stratosferico. La scelta in ogni caso paga, non stanca e la si può considerare come comunque azzeccata. È presente ora un minuto di religioso silenzio, prima che Noisy Pink Bubbles si presenti a concludere il disco in maniera decisamente folle. È una traccia stranissima, con cori e linee vocali deliranti e un incedere quasi funky; non stiamo parlando di qualcosa di memorabile ma che ha comunque un suo perché nonostante sia poco inquadrabile. Se dovessimo associarla al futuro sicuramente lo faremmo con Ki, poiché la linea è quella di sicuro.
In un’edizione più ampia sono presenti anche tre bonus track, cioè Sister, Hide Nowhere e Man: le prime sono due live in acustico e la terza è un demo del lontano 1996. Nulla aggiungono e nulla tolgono a Infinity, che brilla già da solo di luce propria senza ulteriori regali.
CONCLUSIONI Tutto ciò che c’era da dire è già stato detto: l’importanza di Infinity nella carriera di Devin Townsend è fondamentale per tutta la serie di cose già descritte. Se la togliessimo, ci rimarrebbe comunque un disco bellissimo e per oltre la sua metà stratosferico, che certamente non mancherà di soddisfare appieno i fan che non l’abbiano ancora ascoltato. Potrebbero iniziare da qui anche i neofiti che si vogliano approcciare all’artista canadese per la prima volta: Infinity è un disco composto alla fine degli anni novanta ma che suona oggi come un preciso sunto della carriera di Devin. È unico nella sua carriera proprio per questo motivo: è un’opera varia, irriverente, geniale, che racchiude tutti gli elementi facenti parte del suo successo odierno. Rimane anche personalmente come uno dei suoi preferiti in assoluto e non a torto. Tocca a noi congedarci da Devin, come sempre si fa in questi casi, semplicemente pronunciando una sola parola: grazie.
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Voto dei lettori indecifrabile. Sicuramente il meglio di Devin è venuto dopo, speriamo che non sia ancora venuto tutto fra l'altro, ma cazzarola Bad Devil da sola vale il disco...
@Area: è curioso il tuo desiderio, giuro che non ho mai sentito nessun altro (mentre tu l'hai scritto già due volte) rimpiangere la collaborazione con Vai. Per me Devin "libero" vale molto di pù e se c'è una collaborazione che lo esalta (anziché costringerlo/comporlo) è il dualismo vocale con Anneke. Quei due sul palco sono uno spettacolo con pochi eguali, imho cncuc (in my humble opinion, che non capisco un cappero) |
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L'anno é sbagliato, questo é uscito negli anni 90 e nel 1998 per la precisione.
Questo assieme a Terria e al disco degli Ocean Machine é un bell'album... la considero quasi una sorta di continuazione spirituale di Sex e Religion dei VAI dove appunto cantava Devin.
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Decisamente uno dei suoi lavori migliori! Un concentrato di emozioni,divertimento e follia!! |
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No Code dai un occhiata al contenuto delle canzoni e ti accorgerai che Roots, Vulgar Display of Power e Korn non hanno NIENTE a che fare con Devin. Guarda solo le liriche, la lunghezza, la varianza. Devin non mira a sangue-stupri-botte, nè penso abbia cambiato moltissimo il metal al di fuori del suo genere. |
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@Remedy: Vero, ma anche per tutto il resto del disco. È il top di Devin Townsend. |
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Terria merita 100 gia per il solo assolo di Deep Peace... |
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Tierra è l'unico che digerisco... |
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mai piaciuto sto disco, i suoi migliori dischi solisti rimangono Terria e Ocean Machine |
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A me piace la copertina. |
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Credo che il suo migliore a distanza di anni rimanga The ocean machine, bello dall'inizio alla fine. Il suo pregio/difetto è che scrive musica essenzialmente per se stesso, per lui è una sorta di terapia. Quindi non si pone problemi di nessun tipo ed un album può assomigliare a tutto e a niente, può fare un album di schizofrenia pura e un album ambient dove non se move na foglia... è totalmente libero di conseguenza è difficile trovare un album che possa mettere d'accordo tutti! |
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Ci può stare, sono gusti; se ci vedessimo tutti il genio riempirebbe gli stadi! Il dove è davvero influente Devin è il suono e il modo di produrre, poi che divida è normale. Divide anche tutto ciò che hai citato, fa parte del gioco! |
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Voto i dischi che ho ascoltato finora ( quelli che tempo fa mi hanno consigliato come i migliori) Ocean machine 55/100, Infinity 60/100, Terria 60/100, Synchestra 60/100, Ziltoid the omniscient 55/100, Ki 60/100, Addicted 50/100 Degli altri suoi solisti ho ascolticchiato qualcosa quà e là ma mi sembravano sempre la stessa cosa e non ho approfondito Nei Syl invece grazie ad un sound più a fuoco (versione estremizzata di Pantera e Fear Factory), qualche brano qua e là lo ha azzeccato e un album come City rimane molto buono a distanza di anni (cacciando sempre l'inutile Room 429, la tamarra Detox e l'esperimento un pò così così di AAA, All hail the new flesh e Oh my fucking god invece hanno sempre quell'impatto devastante dopo numerosi ascolti e rimangono dei piccoli gioiellini di industrial metal.) |
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Waste, Il problema è che nei suoi dischi solisti trovo più confusione che genio. Nel caso di questo Infinity ad esempio Devin mischia Europe,Metallica,Judas Priest e Soundgarden in un unico calderone generando un pastone informe e pacchiano che non funziona . Poi non nego che può avere il suo fascino da artista fuori dalle regole commerciali e innovativo, ma sinceramente per me è lontano mille miglia dal creare una bella canzone o un album davvero innovativo e influente ( Demanufacture, Vulgar display of power, Roots, Meantime ,Korn,Angel dust sono dischi anni novanta che hanno cambiato il modo di suonare metal non Infinity) |
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@No code: Non sono d'accordo. Si fosse affidato a un produttore probabilmente oggi non sarebbe neanche Devin Townsend; è sempre stato il padrone totale della sua musica e si è creato col tempo un sound inconfondibile e imitato in ogni dove. Non credo abbia la pretesa di piacere a tutti, nemmeno di metterli d'accordo; il seguito che ha dimostra che ha avuto ragione lui. Artisti come questo non saranno mai per il grande pubblico, il cambiare genere ad ogni disco è una cosa tutt'altro che mainstream. Poi, passi falsi ne ha fatti e ne farà, potrà piacere come non piacere; ma io mi tengo l'artista, non un compromesso, e mi va bene così. |
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Devin Townsend l'ho sempre trovato un artista in bilico tra soluzioni geniali e parti eccessive di cattivo gusto. Forse il suo grande errore è stato quello di non affidarsi mai ad un produttore, il quale sicuramente avrebbe smussato le cose che non andavano nella sua musica per farlo arrivare sia al grande pubblico sia ad un album di spessore. Anche dal punto di vista vocale non mi piace, grandi capacità sfruttate molto male, poi quegli acuti odiosi in stile Dickinson inseriti in momenti fuori luogo rovinano le intere canzoni rendendole pacchiane e ridicole con il risultato di non piacere nè a chi segue musica alternativa e nè a chi è appassionato di metal classico. |
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Ok, ora ne ho la prova...non sono il solo! |
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Un artista che riconosco nella sua grandezza, follia e influenza su molti gruppi, ma con cui ho sempre avuto grosse difficoltà, di lui possiedo solo lo tsunami di violenza "City"....della sua carriera solista ho approfondito tutte le uscite, ma le uniche che mi hanno colpito sono state "Physicist", "Terria" e "Accelerated evolution", ma sempre qualche pezzo singolo, mai un album intero purtroppo ...Infinity non sono mai riuscito a digerirlo, de gustibus! |
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6
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io ho grandi probelimi con devin. Non mi piace per niente nei suoi dischi solisti, e poco negli strapping. Questo poi non mi ha proprio detto niente. |
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5
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Disco sufficiente, pacchianissimo in certi frangenti ma comunque personale. Spiccano per originalità il folle progressive di Ants e soprattutto Noisy pinky bubbles con il suo riffing wave e schizofrenico. Se proprio volete conoscere questo artista potete dare un ascolto ad Infinity, in alternativa anche Terria e Ki sono degli album passabili, mentre gli altri lavori i della sua infinita discografia li trovo medioocri. |
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'Terria' e "Infinity" assolutamente vero ma invece di 'Deconstruction' avrei inserito 'Synchestra' o 'Ziltoid The Omniscient', sicuramente dischi molto più pregni contenutisticamente. Son pareri. |
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Per i mei gusto la musica di Townsend risulta abbastanza noiosa e ridondante. Però questo disco l'ho apprezzato alla grande, ma forse è l'unico album di tutta la sua discografia che mi ha lasciato qualcosa, assieme a City degli SYL. Voto.... 88 |
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Devin è effettivamente difficile da digerire all'inizio, ma dopo una serie di ascolti attenti si riesce a comprenderne la genialità...(un applauso al frescone che ha votato 30) |
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Probabilmente non l'ho mai capito io...(anche se non sono il solo che la pensa come me...) |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Truth 2. Christeen 3. Bad Devil 4. War 5. Soul Driven Cadillac 6. Ants 7. Wild Colonial Boy 8. Life Is All Dynamics 9. Unity 10. Noisy Pink Bubbles
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Line Up
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Devin Townsend (Voce, Chitarra, Basso) Gene Hoglan (Batteria)
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RECENSIONI |
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ARTICOLI |
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