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07/02/25
𝗪𝗘 𝗙𝗨𝗖𝗞𝗜𝗡\' 𝗚𝗥𝗔𝗩𝗘 𝗣𝗔𝗥𝗧𝗬 (day 1)
SLAUGHTER CLUB, VIA ANGELO TAGLIABUE 4 - PADERNO DUGNANO (MI)
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( 9699 letture )
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Un paio di anni fa Roads to Judah fu un fulmine a ciel sereno: perfino in pieno periodo "blackgaze" (non userò mai più questo termine), quando le band si sprecavano e le sonorità tendevano ad essere un po' tutte simili. Eppure i Deafheaven avevano qualcosa di particolare, forse il modo personale e arioso di fare post-rock per poi riversarlo lentamente all'interno del black metal più furioso. In quel momento tutte le sonorità rumoristiche delle chitarre finivano in un gorgo di urla e blast-beat e la componente "dreamy" lasciava davvero spazio allo shoegaze, quello confusionario, quello caotico, non quello fatto esclusivamente di tremoli e delay semi-acustici. Sunbather diventa un album ancora più solare (i colori dell'artwork dovrebbero ricordare le tonalità che si percepiscono stringendo l'occhio mentre si guardano i raggi solari), nonostante ciò la furia delle pelli è sempre pressante e spesso straziante, ma in questo tormento non si superano le capacità umane e la produzione non raggiunge quegli squilibri meccanici e triggerati; anzi, il tutto è davvero sensibile e tangibile. Sunbather è un album davvero concreto ed in grado di raggiungere gli estremi degli stessi soggetti; è come se gli Explosions in the Sky si incontrassero con In the Nightside Eclipse degli Emperor (questo è il bel paragone usato su Pitchfork) ed effettivamente, fra le note e le melodie dell'album si toccano i punti di contatto fra queste soluzioni. Quando l'oscuro cielo emperoriano comincia a tingersi della rosea alba, allora è possibile immaginare gli odierni Deafheaven. La paradigmatica Dream House contiene corposi riff, soprattutto di matrice post-hardcore e screamo, che si mutano in arpeggi e vanno a giacere sotto violentissime martellate e urla filtrate; eppure si parla davvero di emo-core e lo si capisce leggendo i testi e le esperienze di George:
"I'm dying." - "Is it blissful ?" - "It's like a dream." - "I want to dream."
Irresistible è una dolcissima strumentale folk-acustica mentre con la successiva titletrack si ha la netta sensazione di vedere gli stessi territori e gli stessi paesaggi degli Envy, dei Thursday e degli Heaven in Her Arms. Analogo è il modo di tirare fuori le fresche melodie dai riff, simile è l'approccio alla batteria, spesso ossessiva sui tom e sui tamburi. I vortici arrivano all'orecchio dell'ascoltatore in maniera diretta e i blast-beat sembrano alimentare questa potente luce che trasuda l'album. È incredibile come certe emozioni possano essere evocate in maniera così costrastante rispetto all'assetto stilistico; è incredibile come con un approccio decisamente black metal, con il drumming più caotico ed ossessivo e coi riff più corposi e violenti, si possano creare questi paesaggi di candida immaginazione. Una straniante sensazione di svegliarsi in una mattina d'aprile, spalancare la finestra per venire irrorati dalla luce mattutina e dai profumi primaverili. Anche qui ci sono chitarre acustiche e quelle tipiche melodie in delay con il tremolo ma, a differenza di band come gli Alcest, qui vengono giusto accennate. A proposito di Alcest: fra le armonie riprodotte in backward, si può sentire Stéphane Paut che recita degli spezzoni tratti dall'Insostenibile Leggerezza dell'Essere di Kundera. Poi le chitarre diventano di vetro, graffiano e rumoreggiano in un'esplosione noise che si calma con dei bellissimi accordi folk acustici. Anche la scelta di intervallare ogni brano massiccio e lungo con soluzioni più brevi e sperimentali giova all'assimilazione del disco. Semplicemente da lacrime sono le chitarre solista di Vertigo: Kerry è un grandissimo fan di Johnny Marr e degli Smiths e riesce a creare qualcosa di simile ma, ovviamente, in tonalità più oscure e all'interno di una cornice ben diversa. Windows prepara la chiusura dell'album con un intermezzo neoclassical e quasi darkwave mentre The Pecan Tree spara le cartucce più violente del disco. Sembra davvero di udire la versione a riverbero e ad eco di Towards the Pantheon o Into the Infinity of thoughts e, sul finale, si può udire l'ipotetico lato oscuro dei Mogwai e dei Mono; i ritmi si serrano sopra il rullante, le melodie si aprono sempre di più evocando barlumi di Insomniatic Doze o di Paraselene. Pianoforte e intrecci di chitarre acustiche tessono le più trasognanti composizioni di Sunbather finchè i potenti riff heavy e le urla filtrate trasfigurano il brano lasciando l'ascoltatore in un incredibile stato di malinconia:
I am my father’s son. I am no one. I cannot love. It’s in my blood.
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15
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Album secondo Me da "bianco o nero".. E' caotico ma nell'insieme funziona alla perfezione.. Le parti più quiete danno un po' di respiro all'ascoltatore, ma non attenuano l'intensità delle composizioni.. Mi ricordano anche il progetto Panopticon... |
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14
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Bellissimo album, gruppo fantastico. Ma non andrei mai ad un loro concerto |
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13
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Gruppo e disco indigesti come pochi. |
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12
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Molto bello, voto giusto e forse anche qualche punticino in più. In questo perido mi sto facendo in vena di doom e di queste sonorità black eteree (post black, blackgaze, chiamatele come vi pare). Insieme ad Alcest e Harakiri For The Sky la migliore realtà per queste sonorità. Voto 81 |
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11
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Ho appena recuperato il disco in questione e devo dire che ne è valsa la pena. Mi manda fuori di testa. Musicalmente non c'entra un cazzo, ma armonicamente mi ha ricordato Wish i could dream it again dei Grandissimi Novembre. Per il momento concordo con la recensione e butto un 85, poi chissà. |
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10
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Forse tra i migliori 5 dischi dell'anno. |
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9
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Piccolo gioiellino. 80 forse un po stretto comunque ottima recensione. |
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8
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Uno dei dischi dell'anno, per il momento solo l'ultimo degli Altar Of Plagues lo supera. Minimo 90, per me. |
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7
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Io preferivoil primo, questo è sì bello ma personalmente mi dice poco... forse mi sono già stufato di ascoltare gruppi dove c'è la parola "post"... torno alle buon vecchi "zanzariere" ![](../../images/smilies/smile.gif) |
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6
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Io preferivoil primo, questo è sì bello ma personalmente mi dice poco... forse mi sono già stufato di ascoltare gruppi dove c'è la parola "post"... torno alle buon vecchi "zanzariere" ![](../../images/smilies/smile.gif) |
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5
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Devo ancora ascoltarlo come si deve, ma Roads to Judah mi era piaciuto parecchio, quindi - anche leggendo i commenti qui - credo mi piacerà anche questo. Come al solito il voto lettori ha numeri a cazzo (ora è a 53.8), ormai ci ho fatto il callo ![](../../images/smilies/smile.gif) |
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4
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Bravi, bravi, bravi. Un deciso passo in avanti da Roads to Judah, che sarà stato sorprendente (anche perché nessuno se lo poteva aspettare), ma in termini di gusto compositivo è decsiamente inferiore a quest'ultimo lavoro. Poi, se avete occasione di vederli dal vivo, fiondatevi, non ne rimarrete delusi, anzi! |
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3
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Roads to Judah era un po' più sorprendente. Ma questo è incredibilmente melodico per quanto casinaro. Molto molto Envy. |
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2
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I testi poi mi sono piuttosto originali, soprattutto quello di Dream House. |
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Wow non mi aspettavo una recensione su di loro, tantomeno da Moro Concordo con te su tutto: il disco, anche se decisamente atipico, si dimostra un esperimento riuscito bene. Personalmente a me è piaciuto di più Roads To Judah, ma concordo sul voto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Dream House 2. Irresistible 3. Sunbather 4. Please Remember 5. Vertigo 6. Windows 7. The Pecan Tree
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Line Up
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Kerry McCoy (chitarre, basso) George Clarke (voce) Daniel Tracy (batteria)
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