|
14/03/25
ALESSANDRA NOVAGA + SILVIA CIGNOLI
TEATRO DELLA CONTRADDIZIONE, VIA DELLA BRAIDA 6 - MILANO
|
|
Earthcry - Where The Road Leads
|
( 3063 letture )
|
Molto spesso ci viene da considerare la musica italiana come seconda o terza in classifica, qualsiasi sia il suo genere proposto. Capita, nemmeno raramente, di ritrovarsi in mano prodotti validi e con potenzialità da top band senza che però venga data un briciolo d’attenzione da parte del pubblico e degli addetti ai lavori. Questo sarebbe potuto capitare anche al sottoscritto, devo ammetterlo, se non avesse avuto la fortuna di inciampare in quest’opera prima targata Earthcry. Le mie attese erano pressoché nulle, assalito dal timore di dover dare il fianco all'ennesimo disco tra i mille che innondano la scena moderna, la cui qualità è per lo più tra il mediocre ed il discreto. Mi sono dovuto ricredere nel giro di pochi minuti, giusto il tempo di lasciare la parola alla musica di quest’opera sontuosa.
Veniamo la sodo. Il sound è inquadrabile come un incrocio tra Ayreon, Symphony X e i soliti vecchi Dream theater. La band di Lucassen può essere un metro di paragone per la variegata scelta di ospiti presenti nel disco; ognuno dei cantati all’interno del disco veste i panni di un personaggio ben caratterizzato, un attore che recita il proprio ruolo quando richiesto dal master mind, I secondi sono i padri putativi di una discreta quantità di ritmiche e melodie qui presenti (a volte sembra quasi si essere davanti nella nuova release targata Allen-Romeo). Tutto questo è stato possibile grazie al creatore del progetto, Enrico Sidioti , il quale con estrema cura e pazienza, ha dato vita a quello che probabilmente era il suo sogno nel cassetto. Riuscire a riunire alcuni dei maggiori esponenti del panorama prog e plasmare un’intera opera di questo calibro, senza mai stancare, è ovviamente da ritenersi un grande pregio a fronte del piccolo peccato originale: il, nemmeno troppo ostentato, citazionismo, Potrei chiuderla direttamente qui, dirvi: “Fate un regalo a voi ed al vostro fegato, bevetevi due birre in meno e fatelo vostro”, ma non sarebbe giusto, a fronte delle tante parole spese per altre band, anche meno meritevoli.
Mi viene in mete un tipetto minuto, di origini tedesche, intento a creare la sua nemesi con delle metal-opere dal sapore leggermente pop. Avete capito di chi sto parlando? Tale Tobias Sammet e la sua nemesi, Avantasia. Ecco un altro esempio che prima non mi era saltato all’orecchio (sì mentre vi scrivo sto ascoltando il disco per l’ennesima volta). Penso proprio che l’attitudine cacciarona che adorna il platter sia di piena ispirazione Sammet-iana. Qui c’è la dedizione, la passione e voglia di farsi notare, c’è il desiderio di portare fuori ogni ispirazione musicale che nasce dal profondo, c’è la voglia di dimostrare ed il risultato rispecchia perfettamente queste attitudini, sicuramente non comuni. Provate ad ascoltarvi canzoni come Hospitality e Uncharted, noterete come l’adrenalina sale trascinandovi in questi turbini di ottimo power-prog. Se invece avete cercate l'introspezione e l’attitudine mistica, eccovi serviti due bei pezzi: Landscapes e la magnifica strumentale The Temple, quest'ultima caratterizzata da un riuscito bilico, l'attesa di un'esplosione non necessaria (e che non arriva). Altro brano che mi sento di raccomandare è la conclusiva Inside, otto minuti e ventisette secondi di crescendo, una splendida avventura che vede le guest vocals di tutti gli ospiti del disco, i quali intrecciano e mescolano le proprie voci creando un potpourri tanto emozionale quanto altalenante. Si avete letto bene: altalenante.
Sino ad ora sono state spese solo belle parole, ma come giusto che sia bisogna essere propensi anche alle critiche. Vediamo vediamo…
Non ci sono molte pecche, anzi è difficile e impegnativo più che mai andare a cercare il "pagliaio nell’ago". L’unico appunto che mi sento in grado di muovere al concept è di aver scelto cantanti che tendono all’essere poco personali in alcuni momenti, risultando un po’ troppo artificiosi e forzati. Manca l’altalena che lascia giocare sui chiaroscuri dei vocalizzi, la voce su tutte o il classico tamarro che piace e dona vitalità all’intera suite. Sono stati certamente scelti personaggi di spicco e cantanti con i "così detti", guai a dire il contrario, e in fin dei conti il tutto fila liscio.
Concludendo, questo progetto Earthcry ha le potenzialità per essere la rivalsa italiana verso le metal-opera per mastri cioccolatai del ventunesimo secolo. Siamo sempre pronti a supportare artisti italiani che abbiano il carattere di mostrare la loro estrosità, questa è un’altra opportunità da non lasciarsi scappare. Non fate come il sottoscritto. Abbiate la fiducia nel nostro paese una volta ogni tanto.
La strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza. (William Blake- Il matrimonio del Cielo e dell'Inferno)
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
1
|
Ottimo disco, anche se non è il mio genere preferito. Landscape ed Inside su tutte. Migliora con ascolti ripetuti e per me questo è un difetto ma non sempre... Au revoir. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Sailing On 2. New Fading Sun 3. Hospitality 4. Recall
5. Into The Asylum
6. Landscapes
7. Stranger
8. Uncharted
9. The Temple
10. Inside
|
|
Line Up
|
Bruno Di Giorgi (Chitarra)
Tommi Delfino (Tastiere)
Leone Villani Conti (Basso)
Enrico Sidoti (Batteria)
Musicisti Ospiti:
Oliver Hartmann (Voce)
Mark Basile (Voce)
Zachary Stevens (Voce)
Marco Sandron (Voce)
Damian Wilson (Voce)
Roberto Tiranti (Voce)
Diego Reali (Voce)
Simone Mularoni (Chitarra)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|