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19/04/25
HERETOIR + SVNTH + BLAZE OF SORROW
TRAFFIC LIVE, VIA PRENESTINA 738 - ROMA
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Architects - The Sky, The Earth & All Between
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13/04/2025
( 394 letture )
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Il terzo rebranding a livello stilistico negli ultimi cinque anni lascia adito a una serie di interrogativi: febbrile voglia di sperimentare, crisi identitaria o necessità di accodarsi al trend ora in voga? Difficile entrare nella mente di questi Architects, profondi e malinconici nella gravitas di For Those That Wish to Exist (2021), grigi nel transitorio battito industrial del “frettoloso” the classic symptoms of a broken spirit (2022) e opportunisti in The Sky, the Earth & All Between, un disco pronto a dividere la fanbase e suscitare tante polemiche.
Il colpo di mercato del resto era troppo stuzzicante e l’occasione di avere in studio Jordan Fish come producer/songwriter giustamente andava colta al volo: l’ex-tastierista dei Bring Me The Horizon, in line-up dall’iconico Sempiternal fino al primo episodio della saga Post Human (con appendici nel secondo NeX GeN), è infatti uno dei principali responsabili della svolta “electro alternative metalcore” tanto di moda negli ultimi anni e il sound digitale da lui inventato rappresenta un’autentica garanzia nella scena mainstream. Copiato, ambito o direttamente reclutato (Poppy - Negative Spaces, 2024), il novello Joey Sturgis incarna quindi la longa manus dietro all’undicesimo full-length del gruppo, determinato a seguire una vocazione pop esplicita come mai prima. Affidandosi in toto all’estro del produttore, i quattro danno l’assalto alle chart e all’heavy rotation in streaming a colpi di un modern metalcore esplosivo, gagliardo e altamente scenografico, paragonabile ad un action movie americano dove le sequenze adrenaliniche vengono intervallate a quelle più sdolcinate; d’altronde, in The Sky, the Earth & All Between l’effetto blockbuster si percepisce ad ogni angolo, dai riff bombastici alla detonazione in HD dei breakdown, dalle magie electro-synth del prestigiatore Fish ai ritornelli memorabili controbilanciati da harsh vocals telluriche ed infervorate.
È la spudorata Elegy a dettare la nuova linea pop/metal degli Architetti, in your face quanto easy-listening nel lancio di coriandoli EDM poi asfaltati da una reazione -core guidata dallo sprint ex-abrupto della batteria, dalle svisate djent e dalla torrida prova di un vivacissimo Sam Carter. Fra echi dei Northlane (era Obsidian) e rimandi obbligatori allo stile dei BMTH, la band parte a razzo e con Whiplash fa aumentare l’elettricità immettendo un carico di tensione nu metal dal libidinoso voltaggio groovy, pronto ad essere amplificato dall’energia del pubblico in sede live. Blindata da ritmiche ultra-compresse e da breakdown cinematografici (alla Falling in Reverse più una goccia di Kool Aid), la scintillante Blackhole corona una tripletta magistrale anche in virtù dello strapotere del frontman, indomabile nel concatenare scream, affondi in growl e ritornelli melodici davvero entusiasmanti.
Se il livello dell’intera scaletta si fosse conformato ai tre brani iniziali non sarebbe una follia parlare di top album, invece l’electro-pop ordinario di Everything Ends riporta bruscamente i piedi per terra, Evil Eyes sfiora il plagio deftonesiano, la comunque gradevole Landmines ha l’etichetta Silverstein appiccicata sul retro e l’industrial-core alla Poppy di Judgement Day non sa valorizzare al meglio le qualità dell’astro nascente Amira Elfeky, raffinata ed eterea discepola “neo goth” di Evanescence e Deftones. In mezzo a tale vortice, lo strappo metallic hc di Brain Dead (provocato dagli ex-Fever 333 Aric Improta e Stephen Harrison, ora sotto l’ala di Fish come House of Protection) rischia di suonare fuori contesto a differenza del pop metalcore della briosa Curse e di Broken Mirror, gemella di Everything Ends qualitativamente superiore nel breakdown aggiuntivo e negli intarsi melodici di un Sam Carter zuccheroso ma d’impatto. La verve polemica di Seeing Red (stoccata ai fan che amano solo il lato heavy della band) è l’ultimo episodio metalcore capace di ravvivare la potenza di fuoco strumentale, i breakdown “a mitraglia” e i roventi switch unclean della tripletta in apertura, con il plus dei cori infantili ad unire i 30 Seconds to Mars e i Bring Me the Horizon di Happy Song. Questa sberla avrebbe potuto chiudere la tracklist alla grande ma Sam e compagni, di tutt’altro avviso, hanno preferito investire su Chandelier, esibizione di pop commerciale non valutabile a cuor leggero in un’ottica metal.
Furbo e al passo coi tempi, The Sky, the Earth & All Between vede gli Architects sconfinare in un territorio molto pericoloso. Se infatti era lecito attendersi un’uscita di questo tipo dal Jordan Fish “esule” dei BMTH, più complicato risulta associarla al gruppo di All Our Gods Have Abandoned Us/Holy Hell: vero, la morte di Tom Searle ha irrimediabilmente cambiato la traiettoria degli inglesi, ma laddove in For Those That Wish to Exist il rinnovamento era sembrato consequenziale e genuino (volendo anche il bistrattato a classic symptoms of a broken spirit aveva una sua logica interna), qui l’ingombrante figura del producer ha calcato su un’attitudine pop non esattamente nelle corde dei musicisti generando evidenti forzature e malcelati compromessi. Lontano da qualsivoglia portata innovativa (al contrario dei “rivali” di Sheffield), il disco risulta godibile ma superficiale, ad uso e consumo degli algoritmi e del formato playlist in cui ogni brano è un singolo “astratto” non comunicante con gli altri pezzi inseriti.
Smaltita l’euforia dei primi ascolti, quello che rimane è dunque una luccicante vetrina pop metal confezionata ad arte dal produttore del momento. Bella per carità, ma l’album degli Architects dov’è?
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1
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Sarà patinato, ruffiano, tutto quello che volete, ma a me ha convinto a pieno, alzo tranquillamente di 6/7 punti il voto finale.
I pezzi sono tutti altamente riconoscibili, e questo credo sia un gran pregio.
Elegy è probabilmente il mio nuovo pezzo preferito degli Architects |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Elegy 2. Whiplash 3. Blackhole 4. Everything Ends 5. Brain Dead 6. Evil Eyes 7. Landmines 8. Judgement Day 9. Broken Mirror 10. Curse 11. Seeing Red 12. Chandelier
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Line Up
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Sam Carter (Voce) Adam Christianson (Chitarra) Alex Dean (Basso, Tastiere, Drum Pad) Dan Searle (Batteria, Programming)
Musicisti ospiti: Jordan Fish (Produzione, Songwriting) Stephen Harrison (Voce su traccia 5) Aric Improta (Voce su traccia 5) Amira Elfeky (Voce su traccia 8) Mick Gordon (Produzione su traccia 11)
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