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Jack White - No Name
22/11/2024
( 454 letture )
Una mossa di mercato assurda quella effettuata da Jack White il 19 luglio 2024: regalare il nuovo album presso gli store Third Man Records di sua proprietà! Quel giorno, nei punti vendita di Detroit, Londra e Nashville, gli ignari clienti che avevano effettuato almeno un acquisto, si ritrovarono un LP nuovo di zecca nella shopping bag, intanto altri dischi simili venivano spediti per posta agli abbonati del servizio in vinile “Third Man Vault”. Un suicidio a livello di marketing, visto e considerato che, nel frattempo tramite i social, proprio l’etichetta Third Man incoraggiava i possessori dell’album a copiarne l'audio in formato digitale e a condividerlo online.

La mossa ha ricordato ai fan una pratica utilizzata da Jack da giovane, ben prima di diventare famoso, quando faceva il tappezziere e nascondeva all'interno dei mobili, dischi da 7 pollici contenenti sue canzoni. E in effetti in No Name (titolo che è un altro elemento provocatorio) c’è tanto del John Anthony Gillis che fu, del ragazzo del Michigan che registrava su un quattro piste nella soffitta dei genitori, sognando ad occhi aperti gli idoli Son House e Blind Willie McTell. E se la scarsa pubblicità ne ha fatto, comprensibilmente, un enorme boomerang in termini di vendite (raggiunta solo la posizione 108 della Billboard, peggior risultato di sempre della carriera...), ebbene dal punto di vista artistico No Name è una manna dal cielo. 43 minuti di chitarra elettrica sugli scudi, con assoli distintivi da parte del genio di Detroit, in cui la robustezza è la forza e l’essenza stessa di un disco di puro garage blues/rock registrato, prodotto e mixato da un artista (ancora!) assolutamente indipendente. Basterebbe chiuderla qui per quello che è di gran lunga il miglior album di genere dell’anno, nonché uno dei più belli di sempre dell’intera discografia di Jack White, ma è impossibile non soffermarsi sulle singole tracks.

Il Lato A, ribattezzato Heaven and Hell, presenta canzoni come Old Scratch Blues: “vecchio blues graffiante” che apre le danze come meglio non si potrebbe. Un brano di livello superiore, dove le pennellate di White la fanno da padrone; plettrate solide e sconsiderate effettuate da una chitarra sudicia e cattiva, istintivamente maleodorante di vecchio, marcio blues. I giri armonici sono una goduria, l’affondo vocale esalta il bel testo, mentre in sottofondo, alla batteria, si aggira lo spettro di Meg, tant’è la virulenza e la sporcizia riprodotta dalle pelli di Patrick Keeler. La traccia entra in testa in men che non si dica e il bridge è il climax di un pezzo spettacolare, col solo smodato di Jack ad enfatizzare l’ultimo sguaiato ritornello. Bless Yourself rincara la dose con superlative plettrate di chitarra elettrica e una massiccia sezione ritmica, quest’ultima in verità ben presente per tutta la durata dell’album. Vi è solidità e congiunzione assoluta nell’esecuzione, fra parti di chitarra, basso e batteria, sfocianti nel fischiante finale. That's How I'm Feeling è un’altra tappa obbligatoria: parte in sordina ricordando un altro progetto del mastermind, i The Raconteurs, ma sul ritornello esplode letteralmente in urla incendiarie, in un brano garage alla The White Stripes, che rimembra i bei tempi andati dei primi Duemila con la lacrimuccia ad entrambi gli occhi; lyrics depressive dirette, senza fronzoli, che mostrano un estratto di rock autentico composto da un artista incontenibile. In sintesi un brano da 10 e lode! Su It's Rough on Rats (If You're Asking), White rinnova il patto stipulato da Robert Johnson col Diavolo, sviluppando un emblematico giro armonico che ben si stampa in testa, per poi farsi impossessare fino a spremere la chitarra elettrica come un limone, in un assolo spasmodico, tecnicamente non eccelso, ma racchiudente lo spirito del blues. In Archbishop Harold Holmes il nostro si redime! Nel passaggio tra Inferno e Paradiso si trasforma in pastore protestante scandendo un sermone blues iracondo: vocalmente in stato di grazia, rappa su strofe tentacolari, immergendosi in refrain che sostituiscono il chorus fra una strofa e l’altra. Bombing Out è uno scalmanato garage punk rock, rapido, stridente e caciarone in un crepitio irragionato di strumenti; l’assolo velenoso al vetriolo sembra chiudere i giochi prima del distruttivo, immancabile finale con ritornello. What's the Rumpus? chiosa gloriosamente la prima parte tramite refrain basic, persuasivi, demoniaci! Il singer enuncia versi come I've got a feeling that the truth's become opinion these days (Ho la sensazione che la verità sia diventata opinione di questi tempi) su una sezione ritmica ipnotica e come al solito è la chitarra a prendersi la scena rivelando tutti i lati del brano, per poi stopparsi, cedere il passo al basso per una fase attendista, che introduce al solo di chitarra elettrica definitivo dell’album, sopra gli oh oh oh canticchiati dal leader maximo. Un gran bel pezzo che dimostra maestria ma senza esagerare.

Il lato B (denominato Black and Blue) non poteva che aprirsi con un canonico blues/rock dalla produzione ruvida, con tanti richiami all’epopea d’oro del genere. In Tonight (Was a Long Time Ago) le strofe sono ancora una volta perfette e portano ad un veloce ritornello, mentre l’assolo aureo è il più distante possibile dalle voci “scolastico” e “da manuale”. Underground rievoca blues dei migliori al mondo e lo fa tanto per cambiare grazie alla chitarra del mastermind, che con l’assolo in wah wah e conseguente sbornia di suoni, rende felici quei quattro ascoltatori mensili di questo genere; urla e fischi di chitarra divengono protagonisti assoluti. Number One with a Bullet ancheggia in avvio, per poi dispiegarsi su sonorità punk rock veloci ed inquietanti: una sfumatura necessaria, poiché finora non emersa nel platter, una canzone delicata come un’entrata a gamba tesa nel viso, energica e lercissima sul ritornello. In Morning at Midnight, il riverbero apre ad un brano dalla carica assoluta, adrenalina strabordante fra gli echi della chitarra e una ritmica cafona, che ricorda ancora l’indimenticabile Megan; tastiere singolari in un bridge inaspettato che colpisce l’ascoltatore con riffettini di facile presa. Missionary è un altro gran bel pezzo garage che pare estratto dai capolavori dei The White Stripes: un brano che sta lì a ricordarci quanto il passato sia ciò che deve essere adottato nel presente dalla musica rock, non solo per sopravvivere ma per convincere! Terminal Archenemy Endling chiude in maniera un tantino più melodica, anche se sempre confusa, appannata, abbagliando e annebbiando chi ascolta; come fari accesi, su una strada deserta, in una notte nebbiosa piena di domande.

Non sono totalmente d’accordo con chi ha parlato di No Name come ritorno alle origini per Jack White, ai primi lavori dei The White Stripes. Questo è un album di un artista alla soglia dei 50 anni ben collocato nel presente, col bagaglio artistico e di esperienze di una carriera maestosa, che si fa sentire. Va detto anche che è sicuramente vero il fatto che la sezione ritmica spesso ricordi quella di Meg e che i brani distorti, noise, possiedano una produzione garage impregnata di sudore, che riesuma vecchi metodi di registrazione. La musicalità dei brani è resa ancor più intensa dalle rime e assonanze presenti nei versi di White. Insomma per farla semplice: ispirazione, songwriting, esecuzioni, produzione e persino il metodo di distribuzione sono speciali, come solo i grandissimi sanno fare. Ma non c’è da sorprendersi: se il rock d’estrazione blues ha mantenuto una propria identità negli ultimi 30 anni, rinvigorendosi, lo si deve soprattutto ai progetti messi in piedi da questo straordinario musicista, figlio illegittimo di una generazione di bluesmen in via d’estinzione, mosca bianca in un mercato discografico saturo e omogeneo.



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
83 su 2 voti [ VOTA]
Daniele
Martedì 26 Novembre 2024, 15.37.14
2
.....non x niente...Detroit rock city....
No Fun
Sabato 23 Novembre 2024, 13.22.40
1
Beh corro ad ascoltarlo. E pensavo: ma quanta bella musica ci ha dato Detroit.
INFORMAZIONI
2024
Third Man
Rock/blues
Tracklist
1. Old Scratch Blues
2. Bless Yourself
3. That's How I'm Feeling
4. It's Rough on Rats (If You're Asking)
5. Archbishop Harold Holmes
6. Bombing Out
7. What's the Rumpus?
8. Tonight (Was a Long Time Ago)
9. Underground
10. Number One with a Bullet
11. Morning at Midnight
12. Missionary
13. Terminal Archenemy Endling
Line Up
Jack White (Voce, chitarra, tastiere nella traccia 3, batteria nella traccia 3)
Quincy McCrary (Tastiere nelle tracce 3, 7, 10)
David Swanson (Tastiere nella traccia 13, basso nella traccia 2)
Dominic Davis (Basso nelle tracce 3, 4, 6, 7, 10, 12)
Scarlett White (Basso nelle tracce 5, 9)
Dan Mancini (Basso addizionale nella traccia 3)
Olivia Jean (Basso nella traccia 1, batteria nella traccia 3)
Patrick Keeler (Batteria nelle tracce 1, 2, 3, 4, 6, 8, 9, 10, 12, 13; percussioni nelle tracce 1, 2, 3, 6, 9, 13)
Daru Jones (Batteria nelle tracce 3, 7, 11; percussioni nelle tracce 3, 7)
Carla Azar (Batteria e percussioni nella traccia 5)
 
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