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21/12/24
GORY BLISTER + AYDRA
RCCB INIT, VIA DOMENICO CUCCHIARI 28 - ROMA
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12/09/2023
( 1334 letture )
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Che l’Australia sia da anni una seconda patria per il metalcore di razza è più che noto e quest’anno possiamo mettere la mano sul fuoco sul fatto che nelle Top 10 di genere comparirà ai piani alti il nuovo album dei Polaris, combo di Sydney giunto al traguardo del terzo disco in studio attraverso un percorso di maturità assolutamente notevole. Fatalism non è solo il terzo capitolo della carriera degli australiani, ma anche e soprattutto un punto di svolta che segnerà un prima e un dopo nella storia della band. Il perché è tristemente noto: il 19 giugno 2023 viene condivisa sui social del gruppo la notizia della prematura scomparsa del chitarrista e fondatore Ryan Siew, deceduto per cause ancora ignote a soli ventisei anni. Per la band e per i fan questa si rivela una botta tremenda e di conseguenza Fatalism si trasforma nel testamento artistico del giovane chitarrista, partito come tanti altri ragazzi della sua generazione postando alcuni video su YouTube e arrivando a calcare alcuni dei più importanti palchi del mondo. Verrebbe facile a questo punto analizzare e valutare l’album solamente alla luce della tragedia che ha colpito il gruppo, ma la verità è che non ce n’è assolutamente bisogno dal momento che Fatalism è un’opera incredibilmente ben riuscita e che mostra in maniera lampante quanto margine di crescita possano ancora avere i Polaris. Bisognerà vedere come proseguirà l’avventura dei quattro membri rimasti – che per ora stanno portando avanti da soli l’attuale tour australiano – ma adesso limitiamoci al disco, godendoci quanto di buono la band ha concentrato in questi quarantasei minuti di musica.
This Mortal Coil, uscito nel 2017, aveva già lasciato intuire le potenzialità del quintetto e per molti fan rimane un album significativo, anche se con il successivo The Death of Me (2020) il gruppo è riuscito a raffinare vistosamente la propria proposta, rimanendo ancorati ad un post-hardcore di matrice moderna con riff articolati e fantasiosi uniti alle consuete aperture melodiche che il genere prevede, riuscendo però a evitare spesso e volentieri la banalità. Con Fatalism invece la questione cambia e il ventaglio di influenze si fa più ampio: le basi del sound sono sempre le stesse e non si sfugge dalla definizione di metalcore, al contempo però fanno capolino frangenti prettamente progressive, si flirta con la pesantezza del djent e si spinge l’acceleratore sulle sezioni più melodiche. Il tutto per arrivare ad un suono che, se già mostrava una spiccata personalità nei dischi precedenti, ora è estremamente riconoscibile e non stentiamo a credere che potrebbe diventare in breve tempo un punto di riferimento per le band prossime a venire. D’altronde quando si può fare affidamento su singoli infallibili come quelli rilasciati per presentare l’album le cose diventano molto più semplici: Inhumane è puro post-hardcore con tutti i crismi, a partire da quel basso distorto che introduce il riff portante del brano; le voci del frontman Jamie Hails e del bassista Jake Steinhauser si incastrano fra loro alla perfezione, alternando le harsh vocals piene e profonde del primo al timbro più melodico ma mai accomodante del secondo, e sebbene il pezzo sia piuttosto “verboso” la musica non va mai in secondo piano, tutt’altro. Le chitarre si producono in figure ritmiche dal groove coinvolgente, lasciando i lead sullo sfondo a dividersi lo spazio con le pennellate elettroniche che compaiono di tanto in tempo, mentre la batteria di Daniel Furnari amalgama il tutto con potenza ed eleganza. È ben percepibile la raffinatezza con la quale il brano è prodotto e scritto, eppure la canzone non suona mai posticcia o plasticosa, l’approccio della band al songwriting e alla produzione è genuinamente hardcore anche nei momenti in cui la componente pop emerge con maggiore prepotenza come nel caso del secondo singolo Nightmare: qui i ritmi aumentano nelle strofe e nei riff e, di contrappasso, i ritornelli si aprono con le clean vocals di Steinhauser. Non si rinuncia ai cliché –core e perciò ecco arrivare anche il breakdown d’ordinanza, gestito comunque in maniera ottimale e non scontata. L’amalgama generale è estremamente funzionale e si riesce ad apprezzare la fantasia tecnica di Ryan Siew che, lungi dal voler fare il guitar-hero, mette i suoi funambolici fraseggi chitarristici al servizio del brano facendoli risaltare quel tanto che basta per arricchire un arrangiamento scarno, ma potentissimo. Esplorando la scaletta non si ha mai la sensazione di ascoltare filler o episodi meno riusciti di altri e quando poi si incrociano brani come Parasites si ha pure un gradevolissimo effetto sorpresa dovuto ad una scrittura che si distacca per un attimo dal metalcore per approdare su lidi groove metal che strizzano addirittura l’occhio al nu metal di nuova generazione. Il ritmo è tiratissimo e l’elettronica più presente, tanto da ricordare vagamente i primi Linkin Park, ma dieci volte più arrabbiati. In questo caso il breakdown è più didascalico, ma immaginiamo che in sede live creerà macelli difficilmente quantificabili. Nella sua brevità questo è uno dei pezzi migliori del disco e sarebbe interessante capire se i Polaris continueranno ad esplorare queste influenze in futuro.
Se dovessimo accostare una singola band agli australiani per paragonarne a grandi linee la proposta il primo nome che verrebbe spontaneo fare sarebbe quello degli Architects (perlomeno quelli antecedenti ai due ultimi dischi) e ascoltando un pezzo come Overflow se ne intuisce immediatamente il motivo: le due band non condividono solo la triste sorte di aver perso prematuramente il chitarrista fondatore, ma anche la capacità di scrivere canzoni capaci di bilanciare la componente hardcore a quella più melodica con un’aggressività vocale sempre credibile e soprattutto un’intensità nello sviluppo dei brani decisamente unica. È proprio l’intensa carica emotiva che il gruppo sa creare che rende speciali momenti come The Crossfire, dove sono ancora i lead di chitarra di Ryan Siew a prendersi la scena pur non stando mai in primo piano. Il ritornello mette in luce la voce incredibilmente versatile di Steinhauser, che qui raggiunge il massimo dell’emotività grazie anche ad acuti vicini a certo emocore. In generale però, lo ripetiamo, sebbene le influenze siano molte, la proposta dei Polaris rimane sempre e saldamente legata ad un post-hardcore muscoloso e con pochi compromessi a livello di intenzionalità, per questo motivo anche quando ci si concede a soluzioni molto melodiche il risultato rimane credibile. In una scaletta poderosa come quella presentata in Fatalism deve trovare spazio un momento di respiro e Aftertouch è perfetta da questo punto di vista: la ballad semiacustica è ben costruita anche se non è questo il campo dove gli australiani sanno muoversi meglio; ad ogni modo come brano di stacco Aftertouch funziona e sul finale, irrobustendosi, sa anche regalare un (breve) attimo di scapocciamento alla vecchia maniera. Con All In Vain infine ci si gioca la carta dell’alternanza tra atmosfera e violenza con un brano dai forti connotati peripheryani dove la pesantezza dei riff viene estremizzata al massimo e lo screaming di Jamie Hails cresce di pari passo con la musica. La sezione finale mette in gioco l’elettronica, che rimane sempre poco invasiva e prevalentemente ambientale, mentre la chitarra solista si prende l’onere di fungere da synth con dei fraseggi in sweep-picking da capogiro. Il testo mette quasi paura a leggerlo e volendo ipotizzare una tesi macabra potrebbe essere quasi un lascito poetico dello stesso Ryan Siew, forse cosciente di essere giunto alla fine dei suoi giorni.
Is this all worth dying for? Our lives are not much more than a metaphor A fool's pursuit Burn the roots before the fruit is rotten.
Con Fatalism i Polaris ingranano la quarta e decidono di posizionarsi ai piani alti della scena metalcore internazionale con un disco che non mostra praticamente alcuna sbavatura. A dire il vero però un difettuccio c’è: negli undici brani dell’album manca infatti la hit, una canzone capace davvero di elevarsi sopra le altre per diventare il simbolo dell’intero lavoro. Se in The Death of Me giganteggiavano brani ormai immancabili in sede come la piaciona Pray for Rain e la pestona Vagabond, in Fatalism da una parte la qualità globale è più elevata, dall’altra si percepisce proprio la mancanza del pezzo da novanta. Non è detto che qualcuno dei singoli del disco non possa diventare un cavallo di battaglia del gruppo, ma al primo impatto la sensazione è quella appena descritta. Si parla comunque di un aspetto relativamente ininfluente sulla buona riuscita dell’album, che innegabilmente rimane un prodotto di pregevole fattura e si giocherà senza alcun dubbio il podio per miglior disco –core dell’anno battagliando con pesi massimi come Currents, Invent Animate, Unearth ed August Burns Red, così come con nuove leve come i sorprendenti Johnny Booth.
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12
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Guarda, io me li sento solo perché mi piacciono le tue recensioni. Finora non un singolo album mi è piaciuto. |
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11
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Mi fa piacere che si sia aperta una bella discussione qui sotto, non me l\'aspettavo per i motivi che ha indicato Indigo nel suo commento. Non è un mistero che i generi \"core\" qui siano quelli meno seguiti, però non per questo li tralasciamo anzi. Entrando nello specifico di questo album continuo a rimanere convinto di quanto ho scritto e i molti brani di \"Fatalism\" tornano con regolarità nei miei ascolti quotidiani. Non credo che i Polaris siano una band nella media, anzi penso che negli ultimi due album - questo incluso - abbiano dimostrato proprio il contrario, ma non nego che entri in gioco anche il gusto personale, ci mancherebbe. Come ho scritto nella recensione la forza del disco sta nella sua omogeneità, laddove nel precedente spiccavano almeno un paio di pezzoni, però è anche vero che questo che io definisco punto di forza potrebbe essere percepito esattamente al contrario da altri ascoltatori, è legittimo. Mi piacerebbe continuare a discuterne però, è sempre interessante! |
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10
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Ascoltato volentieri ma non mi ha lasciato il segno più di tanto.. Concordo sul fatto che non ci sia un Brano trainante.. Ed è questo che forse non mi fa condividere lo stesso entusiasmo del Recensore.. C\'è da dire che le parti più leggere non sono melense e per Me è un punto a favore.. Comunque i Lavori di Unearh e August Burns Red, li reputo superiori a questo.. |
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9
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@El Malparido personalmente condivido a pieno la recensione e il voto, ma credo di capire il tuo punto di vista. I Polaris, rispetto ad altre band di punta del genere, hanno meno elementi \"caratteristici\" per così dire ma a mio parere risultano vincenti per la coesione e la qualità di arrangiamenti e songwriting, sempre perfetti e a fuoco. |
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8
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rip ryan, non dimenticherò mai il tempo passato spensieratamente ad ascoltare la tua musica alle superiori |
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7
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@NoFun, l\'album è attualmente nella lista di quelli ancora da sentire, per questo finora non avevo lasciato un commento.
Ho visto oggi il tuo e allora sono intervenuto: comunque mi stupisce che tu sia stupito sai bene che metalcore/deathcore e nu metal sono i generi meno apprezzati dagli utenti del sito e la preferenza generale verte sui sottogeneri classici o su quelli extreme (death e black). Questo si traduce in spesso in zero commenti, però il nostro intento è quello di coprire tutte le ramificazioni metal e quindi \"testardamente\" continuiamo a scrivere questo tipo di recensioni. Sta poi ai lettori decidere se visualizzare la recensione e basta oppure far sapere anche la propria opinione. |
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6
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Molto bello, ma quello precedente aveva qualcosa in più. |
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@No Fun. Mi sono autotaggato, sono fuso, porta pazienza. |
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@El Malparido: esatto, ma ci sta, infatti io sono totalmente pro ad un qualcosa di poco innovativo, altrimenti dovremmo cestinare 999 uscite l\'anno su 1000. Il problema è che qui manca quel qualcosa che mi distingue quest\'album da altri dello stesso genere. Ed è proprio per questo motivo che non mi spiego l\'80 di Alex, penna ottima, ma per me un 80 è un disco meritevole di posizioni alte nelle classifiche di fine anno. Insomma, è un gran bel voto. Poi chiaro che si scende nei gusti personali o nella soggettività, il problema è che a me il metalcore piace pure, quindi sarei anche di parte. Come non capisco tutto l\'entusiasmo per il nuovo Tesseract, detto inter nos. |
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3
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@El Malparido, questo forse spiega il silenzio qui sotto (ad esempio mi stupiva che Indigo non commentasse un disco Metal Core da 80). Io del genere non conosco davvero quasi nulla come dicevo. Anche dalla rece in effetti al di là del voto si capisce che è un disco omogeneo senza grandi picchi e che la forza sia nell\'equilibrio tra hardcore e le altre sfumature pop, groove, nu etc. Probabilmente a me non è dispiaciuto proprio per questo essere piuttosto\"normale\" e poco innovativo. |
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2
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@No Fun: io l\'ho ascoltato un paio di volte questa settimana, e sinceramente mi stupisco di questo voto a questo disco da parte di Alex. Disco poco innovativo (e chissenefrega potrebbe dire uno, giustamente, io per primo), ma soprattutto poco personale. Direi disco da non oltre 60. |
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Non so neanche bene cosa sia il Metal Core ma, attratto dalla bella copertina che mi ha condotto alla bella recensione e dal fatto che non abbiano un nome orribile come altre band del genere, ho ascoltato qualche pezzo di questo album sul tubo e mi è piaciuto molto. Sì molto bello. Mi stupisce che ci sia il silenzio sotto questa rece.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Harbinger 2. Nightmare 3. Parasites 4. Overflow 5. With Regards 6. Inhumane 7. The Crossfire 8. Dissipate 9. Aftertouch 10. Fault Line 11. All In Vain
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Line Up
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Jamie Hails (Voce) Jake Steinhauser (Voce, Basso) Rick Schneider (Chitarra) Ryan Siew (Chitarra) Daniel Furnari (Batteria)
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