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11/01/25
SMOKING FIELDS + EN.MA + LIFE IN BETWEEN
CENTRALE 66, VIA NICOLÒ DELL’ABATE N.66 - MODENA
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18/12/2021
( 1781 letture )
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È difficile, per non dire impossibile, parlare dell’origine degli Yes senza riferirsi a tutto il loro macro e microuniverso che ne è derivato durante tutti gli anni ’70 e oltre. Ma qui, per ragioni di praticità, bisognerà tentare l’impossibile riferendosi prettamente a quello che fu un esordio non di certo tra i più illuminanti del progressive rock inglese, ma sicuramente il primo passo di una realtà così grande da non poter essere ignorato. Per questo debutto omonimo di Anderson e compagnia si parla del 1969, ossia nel pieno del successo dei Beatles, ma anche di un rock sempre più colto grazie al contributo di Floyd, Genesis e chi più ne ha più ne metta; insomma, un contesto in cui di musica interessante ne girava già un bel po’ in quel dell’Inghilterra. Ma come detto all’inizio, la formazione londinese non compose una pietra miliare irraggiungibile, e il meglio, si sa, verrà nel corso dei ’70 con il grandioso Fragile a fare da apripista e capostipite. Jon Anderson, Peter Banks, Chris Squire, Tony Kaye e Bill Bruford erano comunque un quintetto più che preparato sin da subito, ognuno tecnicamente capacissimo di scrivere pezzi efficaci e performarli nel migliore dei modi: il problema all’epoca fu, senza dubbio, più una complessiva mancanza di effettivo carattere nei quaranta minuti di questo Yes, in cui più di dieci dedicati a delle cover, e i restanti in pezzi non tutti davvero ispirati.
Partendo proprio dalle cover, si parla di due brani molto differenti tra loro e qui riadattati entrambi sui sei minuti l’uno, ben più longevi degli originali. Da una parte abbiamo “I See You” degli americani The Byrds, un pezzo incantevolmente jazz nelle ritmiche ma con un guitarwork rockeggiante performato ad hoc dagli Yes, dall’altra invece un rifacimento di Every Little Thing di beatlesiana memoria, con un tiro di batteria lodevole e, anche qui, un’impronta del tutto apprezzabile. Si passa poi a due ballate, forse dei pezzi piuttosto “già sentiti” all’epoca: Yesterday and Today e Sweetness. La prima invero con un ritornello delizioso, che si lascerà cantare grazie al suo impianto melodico incantevole, ma la cui offerta non presenta molto altro; la seconda, invece, con questo stile squisitamente ispirato alle sonorità dei Fab Four ma che anche qui purtroppo non sa andare oltre ad una complessiva piacevolezza.
I brani davvero interessanti -e che in qualche modo anticiperanno le sonorità iconiche della band- si articolano nella ventina di minuti rimanenti. A partire da Beyond and Before, traccia d’apertura del disco, con un sound diretto e che attinge a piene mani dal rock commerciale dell’epoca, arricchito però da elementi di proto-progressive su cui la band svilupperà il proprio marchio di fabbrica solo negli anni successivi. Vi è poi la meravigliosa Looking Around, decisamente più movimentata e personale della precedente, in cui il rock si esprime infatti in tutto e per tutto grazie alla componente strumentale dipanata in partiture che avanzano senza sforzo per la grandiosità dei loro sviluppi, in special virtuosi e con una sezione ritmica dirompente. Poi, la forma della suite adottata con maturità anni dopo, viene qui annunciata da tracce quali per esempio Harold Land, un pezzo tra l’altro finalmente progressive al 100% con tonalità medievaleggianti (Genesis docet), arrangiamenti colti e linee vocali perfettamente adagiate su di essi. Eppure, la composizione migliore è quella che chiude il tutto, ossia la splendida mini-suite Survival. Qui ci si troveranno groove dinamici e articolati, con pause continue che lasciano spazio d’un tratto alla seconda stanza, in cui le chitarre, acustica ed elettrica, la voce delicata di Anderson, l’organo di Kaye e i cori di Banks e Squire cooperano in un unicum di sei minuti che ancora oggi sa stupire e soddisfare come nel lontano 1969, se non addirittura di più considerandone appunto la provenienza storica.
Perché sì, stiamo parlando di un disco che ha ben 52 anni, un periodo di tempo che ben pochi lavori possono vantare di sorpassare come niente fosse. E seppur questo debutto degli Yes non sia un capolavoro, ed è inutile negarlo, la prova del tempo viene in più momenti superata con eleganza. Su tutta l’offerta una buona metà del disco è composta da cover e da brani dal sound già sentito e piuttosto commerciale, le idee e la personalità del gruppo compaiono soltanto nel restante minutaggio ma con ancora un sound spesso affannoso, castrato, come se mancasse quel quid e quella piena esplosione creativa che verrà inserita nelle opere successive. Per chi insomma volesse riascoltare la discografia della formazione inglese in questo momento, il debutto omonimo rimane un disco molto interessante e ovviamente imprescindibile e a tratti addirittura ottimo, ma per chi volesse rimanere stregato per la prima volta dal gruppo, forse sarebbe meglio saltare in avanti di qualche anno verso lavori ben più memorabili.
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9
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Ari-grazie |
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8
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@Painkiller.....Salta per ora il doppio Tales e passa a Relayer un vero capolavoro, ripesca Yes Album e dai un ascolto anche a Drama, poi via così..
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6
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Da Fragile, secondo me e Close to the Edge subito dopo... |
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5
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Sto scoprendo solo adesso l’universo prog rock é sto quindi approcciando ora band come Yes, Saga, Marillion etc….e mi dico “cosa mi sono perso finora!!!”. Un mondo. Anche io ho trovato questo un buon album ma ho sentito qua e là pezzi successivi davvero grandi. Dovendo consigliarmi, da quale album dovrei partire? |
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4
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Album importante perché primo atto discografico di una band leggendaria, piacevole senza dubbio, ma già il successivo secondo me è un gradino sopra. Poi con l’ingresso di Howe vabbè… partono i capolavori. Atmosfere ancora molto anni ‘60 in tanti momenti, ma qualche spunto (Survival) lascia già intravedere i futuri sviluppi. La caratura dei musicisti (sezione ritmica per esempio) invece è già parecchio sopra la media. Voto 75 |
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3
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Rimane un album storico ed è comunque gradevole tuttora, ma gli Yes con Howe e Wakeman sono di un altro pianeta. |
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2
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Disco sempre molto piacevole da ascoltare, voto 80 |
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1
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Non c'è ancora Howe ma già si assapora la grandezza degli Yes...splendida la cover di Every Little Thing dei Beatles.voto 75. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Beyond and Before 2. I See You 3. Yesterday and Today 4. Looking Around 5. Harold Land 6. Every Little Thing 7. Sweetness 8. Survival
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Line Up
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Jon Anderson (Voce, Percussioni) Peter Banks (Chitarra, Cori) Tony Kaye (Organo, Piano) Chris Squire (Basso, Cori) Bill Bruford (Batteria)
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