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14/03/25
ALESSANDRA NOVAGA + SILVIA CIGNOLI
TEATRO DELLA CONTRADDIZIONE, VIA DELLA BRAIDA 6 - MILANO
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28/09/2019
( 2975 letture )
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Quarto album targato Labyrinth, edito nel 2003 a circa tre anni di distanza dal discusso Sons of Thunder, quello che porta il nome della band fu un lavoro denso di novità, alcune delle quali causate da forza maggiore. Problemi contrattuali derivati da impegni assunti con poca coscienza portarono infatti uno stop molto lungo e la situazione venne aggravata dall’abbandono di Olaf Thorsen, il quale decise di lasciare sostanzialmente a causa dell’inceppamento di alcuni meccanismi interni al gruppo, causati dall’inesperienza nella gestione di certe dinamiche conseguenti al successo ottenuto prima.
Disco da interpretare almeno all’epoca dell’uscita come un nuovo inizio fin dal titolo e dall’abbandono dei nomi d’arte, contente alcune “interferenze” elettroniche che rimandavano al debutto del gruppo - ad esempio Synthetic Paradise, pezzo ispirato nel testo dalla situazione di un amico di Tiranti, purtroppo dedito all’uso di droghe, ma più ancora in When I Will Fly Far - e come perfetta fotografia dello stato dell’arte circa la band in quel lontano 2003, Labyrinth è stato spesso valutato in maniera non esaltante. Ciò in quanto interpretato come evidente tentativo di scrollarsi di dosso l’etichetta di gruppo power e di variare l’approccio compositivo, atteggiamento vissuto come un tradimento da molti fan della prima ora. Però, specialmente alla luce degli sviluppi della situazione che vede il genere vivere da anni una situazione asfittica, quella voglia di scrive e suonare cose più diversificate tanto campata in aria non era. La voglia di fare qualcosa di differente non corrispondeva esattamente a quella di cestinare del tutto il passato e la cosa viene fuori ancora oggi ascoltando i riferimenti anni 70/80 di This World e prendendo atto dell’uso dell’Hammond ad arricchire il sound. Per soprammercato, con la prima parte di Just Soldier (Stay Down) siamo gomito a gomito col thrash anni 80, anche se poi il brano vira verso situazioni diverse descrivendo correttamente la voglia di varietà dei Labyrinth del tempo, peraltro ancora viva ai nostri giorni. A venire fuori dalla scaletta una volta inquadrate le canzoni nella filosofia del lavoro, sono in particolare Hand in Hand per il suo equilibrio tra melodia ed aggressività; Livin' in a Maze, un ponte con Return to Heaven Denied e Terzinato, per la sua dinamica. Tutte, in ogni caso, giovano della registrazione svolta a Milano e la masterizzazione effettuata in Germania presso gli House of Audio Studios, precedentemente visitati dagli Angra e scelti proprio per questo motivo. La produzione, in tutti i casi, era nettamente migliore rispetto a quella di Sons of Thunder, disco che aveva non per nulla ottenuto anche l’interesse di TV Sorrisi e Canzoni.
CD che spiazzò molti per il cambiamento nell’approccio e nella formazione e tutto sommato preparatorio per l’album successivo, decisamente più esplicito in questo senso, Labyrinth resta comunque un buon prodotto, che lo scorrere del tempo ha provveduto a far inquadrare meglio per ciò che era. Un tentativo riuscito di imboccare una nuova strada e cercare di posizionarsi in maniera più "onesta" presso il pubblico e sopra tutto verso se stessi. Caratterizzato anche dalle ottime prove strumentali e vocali dei musicisti coinvolti, è da recuperare insieme a Freeman per contestualizzare la storia del gruppo e come pro-memoria di come una deviazione dal sentiero più battuto porti spessissimo ad allungare la strada ed a fare più sacrifici, ma dia la possibilità di vedere panorami molto più belli.
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VOTO LETTORI
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74.64 su 134 voti [
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6
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questo, insieme a freeman, sono i loro migliori secondo me (tolto rthd) |
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5
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un disco davvero valido, uscito purtroppo per una label che non li spinse a dovere. Voto 80 |
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3
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Penzo proprio che dopo il monumentale Heaven Denied questo sia il secondo capolavoro assoluto della band. Voto 88 |
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2
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E stato un album di rottura con il periodo power. Coraggioso potente e per me bellissimo. Voto 85 |
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1
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Secondo me un buon album, diverso dai precedenti ma comunque niente male. A mio avviso (parere strettamente soggettivo) manca il “pezzone”, magari quelle 2/3 tracce fenomenali che potrebbero far fare l’upgrade a tutto il disco, ... ma è vero pure che non ci sono evidenti cadute di tono. Il tutto poi è condito da ottime prestazioni, soprattutto quella di Rob. Voto 75 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Prophet 2. Livin' In A Maze 3. This World 4. Just Soldier [Stay Down] 5. Neverending Rest 6. Terzinato 7. Slave To The Night 8. Synthetic Paradise 9. Hand In Hand 10. When I Will Fly Far
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Line Up
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Roberto Tiranti (Voce) Andrea Cantarelli (Chitarra) Andrea De Paoli (Tastiera, programming) Cristiano Bertocchi (Basso) Mattia Stancioiu (Batteria)
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