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21/12/24
GORY BLISTER + AYDRA
RCCB INIT, VIA DOMENICO CUCCHIARI 28 - ROMA
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08/09/2016
( 4089 letture )
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[...] Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. (Ayrton Senna).
Ennesimo, attesissimo disco in ambito prog death: un genere in gran forma, almeno a giudicare dal florilegio di gruppi formati e dischi pubblicati, in maniera più o meno azzeccata e "nuova", all'interno di tale etichetta negli ultimi anni. Dreamless è il terzo full-length dei Fallujah, che tentano di bissare il successo ottenuto due anni fa col precedente The Flesh Prevails, cercando, tra le altre cose, di superare l'effetto (che non saprei spiegare meglio, se non definendolo "muro sonoro") per il quale, in certuni tratti, non fosse possibile discernere uno strumento dall'altro. Da questo punto di vista non si può dire che non ci siano stati tentativi in questo senso: qualche buon risultato è stato raggiunto, ma va comunque registrata una produzione in certuni tratti eccessiva e di non immediata decifrazione da parte dell'ascoltatore; niente di nuovo, in ogni caso, dal momento che questo discorso si ripresenta in molti, troppi album di recente uscita, divenendo così un triste mantra che accompagna la fama e la critica della maggior parte di essi.
Ma volgiamoci senza indugi all'unico lato che importa davvero, quello musicale. Il platter si apre con Face of Death, che da un'iniziale facies di intro evolve in una canzone vera e propria: immediatamente riconoscibile è l'attenzione della band alla componente atmosferica delle proprie composizioni (da qui l'etichetta, talvolta riferita ai californiani, di "atmospheric death metal", qui non adottata, ma solamente citata, a onor di cronaca, ma anche perché fonte di un'azzeccata esegesi di certuni aspetti della proposta musicale dei Fallujah), chiaramente (e giustamente) esaltata a dovere dalla produzione. Un inizio di mestiere, ma senza molto di concreto da dire: giusto un tocco sull'acceleratore, ma tenendo la frizione premuta, quel poco che basta per scaldare i motori per quello che sta per arrivare. Difatti Adrenaline parte subito a mille e così anche la voce di Alex Hofmann: il suo è un growl sì buono, ma che già a medio termine tende a stancare per la sua monotonia, fatto che lo assimila, purtroppo, alla maggioranza dei cantanti della sponda più tecnica del death odierno. Ma di buono ci sono i riff, complessi, com'è giusto che sia, ma soprattutto ispirati e capaci di dare un senso di freschezza, che negli anni ha reso celebre il quintetto di San Francisco per la propria abilità compositiva, fattore determinante per distinguersi da possibili concorrenti sul mercato: chi ha avuto modo di approfondire il loro genere di riferimento dovrebbe conoscerne parecchi, al di là degli altrettanto noti Beyond Creation, Obscura, The Faceless e chi più ne ha, più ne metta. La successiva The Void Alone (qui il lyric video) introduce una variabile forse non totalmente inattesa (non è il primo esperimento in questo senso): la presenza di una voce femminile, quella di Tori Letzler, risulta particolarmente ambigua, dato che non è totalmente fuori luogo, né male inserita nel contesto, tuttavia allo stesso tempo potrebbe essere omessa senza nulla togliere all'economia complessiva della traccia; in ultima istanza, dal momento che la band ha deliberato il suo impiego, non ci rimane che affrontare il fatto compiuto: è evidente che sia un elemento che, senza troppi giri di parole, può piacere o non piacere, anche se, con ogni probabilità, non è questa canzone l'esempio migliore di tale utilizzo. Segue Abandon (qui il videoclip), che alterna alcune tra le parti più musicalmente interessanti dal punto di vista tecnico e compositivo ad intermezzi ariosi in cui interviene un'altra voce femminile, quella di Katie Thompson; eccellente prova, tra gli altri, di Robert Morey al basso: alcuni stacchi sono tutti per lui e per il suo basso fretless ed è ottima l'intesa con il preciso quanto espressivo Andrew Baird dietro le pelli. Tocca a Scar Queen (qui il playthrough), forse l'apice dell'intero disco, alla luce del suo sapiente equilibrio compositivo tra atmosfere eteree e virtuosistiche sfuriate dei due chitarristi, Scott Carstairs e Bryan James: l'unica pecca è forse un uso un po' eccessivo di tappeti di doppio pedale in punti in cui apparentemente non ve ne sarebbe bisogno, ma, per quello mostrato finora, qualche caduta di stile può ancora essere perdonata. È il turno della title-track, la più lunga dell'intero album: si fa strada piano nelle orecchie dell'ascoltatore e piano entrano gli strumenti, uno dopo l'altro, in un crescendo di oltre tre minuti e mezzo, che culmina in un pregevole assolo di chitarra prima ed in un altro intervento di Tori Letzler: non c'è molto da aggiungere rispetto a quanto si sia già asserito prima. La successiva The Prodiga Son coincide con l'inizio di un lento declino del platter, probabilmente dovuto al fatto che, appurata ormai la formula vincente trovata dalla band, bene o male la struttura rimane la medesima: certamente rimangono più che apprezzabili la varietà e la qualità del songwriting, ma credo che tu, lettore, mi capisca se dico decadimento tecnicistico, nonostante il fatto che di certo ci sono vagonate di gruppi molto più orientati ad una vuota ed onanistica dimostrazione di bravura tecnica. Segue Amber Gaze, che riesce a risollevare, per il momento, le sorti di questo platter, che, giunto ormai ad oltre 40 minuti di durata, comincia a fiaccare anche gli animi meglio disposti: i problemi cominciano a farsi sentire con Fidelio, che altro non è che una traccia elettronica con un dialogo tra un uomo e una donna. Sì, lo so che siete basiti, ma non fate domande, proseguiamo. Occorre dunque riporre le nostre speranze in Wind for Wings, ma di fatto è solo noia e poco altro: si cerca di arrivare in fondo, ma l'entusiasmo iniziale è ormai scemato. Il colpo di grazia, se davvero ce ne fosse bisogno, arriva con Les Silences: sei (SEI) minuti di traccia elettronica. Togliete il vino ai Fallujah. Se proprio ci fosse stato il bisogno di toccare quota un'ora (per quanto sia palesemente un minutaggio a dir poco eccessivo), inserire questo genere di riempitivi è indubbiamente la mossa peggiore che si potrebbe fare. A questo punto mi sento anche un pelino preso in giro. Non che la conclusiva Lacuna sia una brutta canzone, anzi, ma è davvero troppo tardi per poter far cambiare idea all'ascoltatore: cala il silenzio e rimane solo il risentimento nei confronti di quella che avrebbe potuto essere una delle band più promettenti nel panorama prog death attuale.
Giunto il momento di tirare le fila del discorso, non mi resta che esprimere il mio rammarico per una prima parte di album più che buona, se non ottima, vanificata da una seconda parte che va dal sottotono al disastroso (due intermezzi elettronici solo per aumentare di dieci minuti il minutaggio?!). In conclusione, complessivamente promossi in virtù delle buone cose viste, anzi ascoltate, nei primi quaranta minuti, ma cari Fallujah, così proprio non va: sul filo di essere rimandati a settembre. Attendiamo fiduciosi tempi migliori.
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11
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Un disco simile non merita un voto così basso, secondo me lo dovete ascoltare approfonditamente e assorbire bene prima di scrivere recensioni che si fermano al "lato superficiale del libro".
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10
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Potrei definirlo un 'capolavoro' mancato. Davvero un peccato che questo album dopo una metà così grandiosa riesce nella seconda metà a rovinare tutto l'entusiasmo che si era creato. Voto 70. |
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9
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Trovo che quest'album sia sorprendente almeno quanto il precedente. Il fatto di saper unire musica meditativa o new age con il Death Metal mi sembra un'impresa più unica che rara. Il voto però è giustamente inferiore perchè sono stati inseriti dei fillers che penalizzano un po' l'ascolto. Ciao |
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8
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Non ho capito perchè quando si parla di prog death il giudizio del pubblico si dovrebbe spaccare a metà! Boh! |
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7
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quando si parla di prog death è abbastanza comune che il giudizio del pubblico si spacchi a metà,a me questo disco è piaciuto molto personalmente,lo ritengo uno dei migliori dell'anno! ho apprezzato molto gli inserti di elettronica che hanno contribuito a mio parere a dare personalità al sound del disco! |
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6
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Un disco riuscito a metà, con ottimi spunti nella prima parte e un calo vistoso di ispirazione nella seconda. Non male gli inserti elettronici, buoni i vocalizzi femminili, ben curati i suoni (che sono sensibilmente migliorati rispetto al precedente album). |
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5
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65????? Ma voi state male |
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4
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Un album che poteva essere da Top 10 dell'anno, e mi riferisco alla prima parte fino alla title-track,ma che poi declina inesorabilmente e anche in maniera un po troppo repentina. The void alone,abandon e scar queen compongono un trittico spaventoso,dreamless è una perla di rara bellezza. Prima parte da 90,seconda parte da 50:la media penso venga da sè. Rimandati alla prossima. |
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3
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Mah, non sono rimasto affatto basito con Fidelio e sinceramente mi sono goduto un ottimo Ramandolo con Les silences. Album migliore di The flesh prevails, comunque ritengo che i Fallujah non si stiano ancora esprimendo al massimo del loro potenziale. Per adesso fanno "solo" ottimi album. |
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2
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Io non me la sentirei affatto di bocciare gli inserti elettronici e quindi di conseguenza l'intero platter. I ragazzi sono bravi e si applicano; è pur vero che nell'attuale scena odierna ci sono veramente troppi gruppi ascrivibili al cosidetto filone prog-death, ma i Fallujah rientrano di diritto nella cerchia dei gruppi migliori del genere. Per me questo album vale almeno 80. |
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1
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Anche solo per la citazione del magico Ayrton Senna un plauso ad Alberto! Stima massima! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Face of Death 2. Adrenaline 3. The Void Alone 4. Abandon 5. Scar Queen 6. Dreamless 7. The Prodigal Son 8. Amber Gaze 9. Fidelio 10. Wind for Wings 11. Les Silences 12. Lacuna
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Line Up
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Alex Hofmann (Voce) Scott Carstairs (Chitarra) Brian James (Chitarra) Robert Morey (Basso) Andrew Baird (Batteria)
MUSICISTI OSPITI Tori Letzler (Voce nelle tracce 3, 6 e 10) Katie Thompson (Voce nella traccia 4) Tymon Kruidenier (Chitarra nella traccia 6)
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