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Locanda delle Fate - Homo Homini Lupus
09/07/2016
( 2570 letture )
[...] Quando un uomo non è conosciuto, non è considerato un uomo, ma un lupo dall'altro uomo (Plauto, Asinaria 495).

Ventidue anni dopo il pregevole Forse le Lucciole non si Amano Più, la Locanda delle Fate pubblica il secondo LP, Homo Homini Lupus. La band astigiana, appena riformatasi senza il cantante Leonardo Sasso ed il tastierista Michele Conta (il quale qui appare solo in una traccia), che resta relativamente poco conosciuta al grande pubblico, essendo in un certo senso stata tra gli ultimi ad accodarsi al prolifico filone del prog rock made in Italy che andava in quegli anni esaurendosi, prova, quindi, a ripresentarsi sul finire del secondo millennio.

L'iniziale title-track non lascia trasparire differenze così nette rispetto all'album di debutto, eccezion fatta per l'insolita dimensione corale dell'arrangiamento, particolarmente adatta ad esaltare il testo in latino, una semplice rielaborazione lirica di una delle più celebri tesi attribuite al filosofo inglese Thomas Hobbes, che risale tuttavia alla Roma arcaica, come dimostra l'iniziale citazione plautina; nel complesso non certo memorabile, ma neanche così in contrasto con ciò che ci si poteva e voleva aspettare. Qualche crepa comincia invece a mostrarsi già dalla seguente Il Lato Sporco di Noi, che non fa mistero di voler essere orecchiabile senza troppe ulteriori pretese, ma tutto sommato raggiunge la sufficienza, adottando però un metro di giudizio assai diverso da quello con cui si suppone di accingersi a valutare un lavoro prog. L'impressione che l'intenzione dei piemontesi vada ben oltre un innocente occhiolino al pop di successo in quegli anni si concretizza malauguratamente sempre più, a partire da Giro Tondo: davvero difficile salvare qualcosa di una canzone che ha ben poco di originale ed un ritornello fin troppo facile da scordare.

"Shh, arriva la banda!" "Come la banda? Si sono accorti di essere partiti col piede sbagliato e si son fatti sostituire?" "No, son sempre loro, era solo giunto il momento dell'intermezzo di poco più di un minuto" "Ah, bene, ottima idea: magari tornano in loro e riescono a farmi dimenticare ciò che ho ascoltato sinora...". Fatto sta che, dopo aver ascoltato Bandando, ciò che si potrebbe attendere non viene deluso: Plovi Barko, infatti, non è altro che un rifacimento di una canzone popolare croata, apprezzabile, ma poco rilevante ai fini della valutazione del disco. Giunto a metà album, l'animo duramente provato dell'ascoltatore si tira un po' su con Stanotte Dio che Cosa Fa?, apprezzabile per un vivace dialogo tra acustica ed elettrica, un testo decente e, finalmente, un ritornello abbastanza efficace da rimanere in mente dopo qualche ascolto. Sopra alla media anche la successiva La Fine, delicata traccia riflessiva giocata su contrappunti musicali e semantici, un po' meno Certe Cose, che non regge il confronto con la precedente, tanto da risultare a tratti quasi melensa: altro episodio da dimenticare.

D'improvviso fa il suo ingresso il pianoforte e non possiamo non riconoscere il tocco magico, unico del tastierista storico della Locanda delle Fate, Michele Conta: per gli oltre sei minuti della "quasi strumentale" Ojkitawe l'ascoltatore si può permettere il lusso di credere di essere tornato ai fasti di oltre vent'anni prima: "half a loaf is better than no bread", dopotutto, ma paga davvero la scelta di mettere questa canzone verso la fine dell'album quando, senza esagerare troppo, certe tracce avrebbero potuto far desistere un ascoltatore più severo ed esigente? I Giardini di Hiroshima ci porta in Giappone, in quel tragico 6 agosto 1945: l'atmosfera descritta è quella di una felice ed indiscussa normalità, rotta senza preavviso ed irrevocabilmente, narrata da una canzone che più che condanna della guerra appare come denuncia di una civiltà, come quella occidentale, che permette ed accetta la violenza per risolvere problemi e contese: purtroppo, al di là del messaggio trasmesso da un testo moraleggiante, di spunti innovativi non si vede l'ombra. A sopperire a tale grave carenza di cui pare soffrire cronicamente Homo Homini Lupus ci pensa, o almeno ci prova, la conclusiva Fumo, sostenuta nientemeno che da una spiccata venatura fusion: caro lettore, a questo punto ti è concesso gridare al miracolo.

Dovendo ora tirare le somme di questo platter, devo confessare di trovarmi in difficoltà: da un lato la parte razionale impone di liquidarlo come incapace di reggere il confronto con il predecessore e conseguentemente di valutarlo ben al di sotto della sufficienza, dall'altro la parte emotiva guarda a Homo Homini Lupus come un prodotto pienamente figlio del preciso periodo di cui fa parte: un ponte ideale tra tutti i grandi nomi che hanno preceduto la Locanda delle Fate ed il pop di cui fruiscono normalmente le masse. Nel perseguimento di un "aurea mediocritas" d'oraziana memoria ho infine deciso di fare entrambe le cose. Homo Homini Lupus non è certo un capolavoro, né un'opera da avere assolutamente nella propria collezione, ma, anche se al di sotto della sufficienza, merita almeno un ascolto in onore di ciò che è stata la Locanda delle Fate e di ciò che ha rappresentato in passato e di ciò che può ancora rappresentare, se le recenti voci di un nuovo lavoro figlio della reunion si realizzassero: la speranza, del resto, è l'ultima a morire.



VOTO RECENSORE
55
VOTO LETTORI
97.08 su 24 voti [ VOTA]
Titus Groan
Martedì 4 Dicembre 2018, 14.15.26
7
Questo disco rientrava nella fase della rinascita del prog italiano che era iniziata sul finire degli anni 80, grazie al coraggio di band come Atons, Moongarden, Finisterre ecc. Sarebbe interessante vedere recensiti questi che al tempo erano dei veri capolavori
Lizard
Domenica 10 Luglio 2016, 19.07.00
6
@Zess: è una mia impressione, ma parlando di "recenti", credo intendesse parlare di un nuovo album.
Zess
Domenica 10 Luglio 2016, 16.38.24
5
A prescindere dal disco, vorrei far notare che la "nuova reunion" si è materializzata da almeno 4-5 anni... informarsi prima di scrivere sarebbe quantomeno doveroso.
Suarez
Sabato 9 Luglio 2016, 23.06.45
4
Sono anche monotoni cazzo, sono anni che seguo questo sito e tutte le volte che recensite un rispolverato insufficiente arriva la solita critica inutile e le solite giustificazioni dei redattori
Aske
Sabato 9 Luglio 2016, 12.54.12
3
Poi penso che se un album manca nel database sia sempre utile recensirlo, anche se fosse una ciofeca inascoltabile da voto 0. è comunque piacevole leggere belle recensioni, e quelle che finiscono con un voto negativo sono utili come quelle positive
Lizard
Sabato 9 Luglio 2016, 10.39.51
2
Senti MetalHeart, francamente faremo come ci pare, o no? E' curioso che tu compaia solo ed esclusivamente per commentare i rispolverati e solo quelli che non ti vanno a genio. Perché non ti dedichi agli altri allora? Ce ne sono cinque tutte le settimane, se uno non ti piace, parla degli altri. Mica sei obbligato a leggere quelli che non ti interessano. E invece no... solo a puntare il dito. Che poi... sono anni che questa rubrica esiste e se si chiama "rispolverati" e non "classici" un motivo ci sarà o no? E in ogni caso, a te non è mai capitato di "rispolverare" un disco che avevi lì da anni e vedere se magari avevi cambiato opinione o anche solo per ricordare che roba era? Non arrivo a capire che senso abbiano interventi come i tuoi e sì, alla fine stai cominciando a stufare.
MetalHeart
Sabato 9 Luglio 2016, 10.28.56
1
Allora, io sarò un rompicoglioni, ma voi lo fate apposta eh?! Ma mi spiegate che cazzo di "linea editoriale" è quella di rispolverare dischi men che mediocri, totalmente inutili e che nemmeno le stesse band si ricordano di aver pubblicato (o preferirebbero dimenticarsene)?! "Rispolveriamo qualche disco delle balle, così facciamo scoprire ai nostri lettori un po' di sana musica di m****!' Bel servizio, davvero... Sciör Nefasto, su, anche lei che sceglie di scrivere certe cose...
INFORMAZIONI
1999
Vynyl Magic
Prog Rock
Tracklist
1. Homo Homini Lupus
2. Il Lato Sporco di Noi
3. Giro tondo
4. Bandando
5. Plovi Barko
6. Stanotte Dio che Cosa fa?
7. La Fine
8. Certe Cose
9. Ojkitave
10. I Giardini di Hiroshima
11. Fumo
Line Up
Ezio Vevey (Chitarra, Mandolino, Voce)
Alberto Gaviglio (Chitarra, Flauto, Voce)
Oscar Mazzoglio (Tastiere, Fisarmonica)
Luciano Boero (Basso)
Giorgio Gardino (Batteria)

Musicisti ospiti
Michele Conta (Pianoforte nella traccia 9)
 
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