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17/01/25
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Strapping Young Lad - The New Black
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27/02/2016
( 3759 letture )
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Macchie di Rorschach. Poli-suoni, aritmetica e aritmie. Sensazioni confuse, tepori e poi vertigini improvvise. È l'operato di Devin Garrett Townsend, nei suoi quasi 26 anni di carriera. Totale e parziale, il genio canadese ha sfruttato ogni angolo remoto del suo cervello (e cuore) per produrre le "sensazioni di una vita", trasmesse nei flussi musicali e storici, attraverso i fantomatici archivi del Tempo. Steve Vai, vuoto cosmico, poi i deliri ironico-onirici punk/metal di Punky Bruster e nel 1994 ecco la creatura che noi tutti abbiamo imparato a chiamare SYL per semplificare il lungo moniker che corrisponde al nome di Strapping Young Lad. In quanti là fuori ne parlano? In quanti si chiedono come mai la creatura leggendaria di Townsend si sia assopita per sempre, dopo tanta fatica, tanti viaggi, tante emozioni e deliri, Musica con la "M" maiuscola e, soprattutto, tanto amore da parte di critica e fan? È una questione di progressione, di scelte, di età che avanza, di personalità. La psicologia, in questo caso, fa un baffo alle mosse dell'istrionico multi-strumentista e produttore canadese, perché sappiamo che sarebbe perfettamente inutile cercare di trovare una collocazione mentale e decisionale per la sua imponente quanto discreta figura, se non altro all'interno del music business moderno, in cui un elemento come il buon Devin spicca per atipicità e autenticità. Fattori importanti che hanno portato, nel 2006, a questo ultimo e fondamentale step per la super-band di Vancouver.
Procediamo con ordine. Riavvolgiamo le tubature cerebrali e passiamo oltre, partendo appunto dalla spruzzata copertina dell'album, con Rorschach e farfalle vaganti, temi importantissimi nel mondo-Townsend-iano, in quanto l'elemento naturale-animale della farfalla è nato all'epoca di Infinity (1998), suo secondo album solista. Un simbolo forte che lo seguirà di tanto in tanto, nel corso del tempo. In molti sanno che il disco in analisi, il variopinto, variegato e tremendamente accattivante, irrequieto e melodico The New Black (nomen omen) è l'ultimo tassello della fondamentale quanto poco nutrita discografia degli Strapping Young Lad. La lezione del giorno è: individuare e analizzare come suona oggi questo esempio di metal estremo, arguto e spontaneo. Le categorie, come spesso accade, crollano in favore del sentimento metallico che ci pervade durante l'ascolto dell'album che, come anticipato brevemente, vede il fantascientifico trademark della band mutare un po' in favore di soluzioni a volte classiche a volte oblique, senza perdere mai di vista l'obbiettivo primario: l'intrattenimento. Nelle undici tracce dell'album convivono una marea di anime differenti, tutte figlie della fantasia musicale e artistica di Townsend, egregiamente aiutato, supportato e impreziosito dai compagni J. Simon, B. Stroud e dal fido compare alle pelli: l'unico vero "Atomic Clock", comunemente conosciuto come Gene Hoglan, che proprio in questo ultimo album della band si prodiga in alcune delle sue più brillanti evoluzioni (Almost Again) ed esibizioni (You Suck). È un album fortemente voluto dalla Century Media, ma che lo stesso Devin ammette essere azzeccato in più punti. La costante e consueta modestia del cantante/chitarrista non ci permette di analizzare le sue opere con focus adeguato, così ci spostiamo di qualche metro per poter pensare da soli, in solitudine, e affrontare l'ascolto.
The New Black è efferatezza e spregiudicatezza, ma anche metal classico e abbondante, con richiami al passato e al futuro. Un album con una produzione impressionante, spesso sottovalutata, con suoni perfetti e strumenti che, nonostante il caos, le stratificazioni, i synth e l'effettistica, riescono comunque a respirare. Le ritmiche thrashy e gli assalti frontali sono spesso ammortizzati da sferzate ironiche e sample azzeccati, come nel finale iper-heavy di Monument o nella bizzarra e quantica Anti Product, un brano che non arriva a quattro minuti di durata ma che contiene un universo musicale al suo interno. Dal ritornello sbeffeggiante e maldestro che recita: I am the anti-product, quantum-mechanically pure. Sell me, tell me, be the chosen one, rock me to the bone – for sale!, fino al bridge (uno dei più belli dell'album), in cui fiati e sample prendono il sopravvento, trasformando il brano in una cavalcata in doppia-cassa con le atmosfere di 007, raffinate e pompose. Una piccola orchestra a manovella, un tripudio di colori immersi nel bianco accecante della copertina. Una volta graffiata la superficie esterna riusciamo a entrare nell'ottica intrinseca dell'album, in cui la strabordante opener Decimator ci grazia con un cantato cristallino, squisiti assoli incrociati e un bridge con fruibili nonché azzeccate gang-vocal da cantare a squarciagola. Una partenza limpida e levigata, che eleva le sorti del platter in un batter d'occhio e che ci trasporta verso la magmatica intrusione di perizia tecnica e violenza rapida di You Suck, primo singolo dell'album e brano dall'elevato potere distruttivo e carismatico, con le ritmiche al fulmicotone che sfiorano lidi death e deliranti, un drumming fuori-schema e fuori portata per velocità, tecnica e ferocia, e ancora una volta splendide note soliste a cura dello sferragliante duo Simon / Townsend, che si ritaglia il giusto spazio di respiro strumentale. Due minuti e quaranta secondi in cui vediamo scorrere la nostra vita alla velocità del suono, con immagini irrazionali sormontate dal volume atomico delle prestazioni pressoché perfette.
Tell us how much they fucking suck (hell yeah they fucking suck) / Even your girlfriend fucking sucks (hell yeah she fucking sucks) / Oh fuck you fucking fuck (hell yeah you fucking fuck) / We are the losers of all that we know – fuck us all!
Basterebbero queste parole per farci capire il quantitativo di ironia riversata all'interno del testo di You Suck, mentre la profondità quasi opposta del terzo singolo Almost Again ci annebbia la vista e riscalda il cuore, in un frammento impazzito di pura poesia spaziale:
So you're living, so... you're on your own / Almost again, almost again I have... / State your reasons, so you're all alone... / So, at the speed of sound I will be found / At the speed of light I will be seen.
È un magma fluido, un compendio di durezza e progressività, in un balletto incerto di cascate sonore, prestazioni strumentali vertiginose, dove Mr. Gene Hoglan diviene sovra umano, cesellando il bellissimo ed epico ritornello con un'accelerazione in blast-beat degna del "Millennium Falcon" e del suo iper-luce, in cui si distende, come un elastico temporale, la voce sognante di Townsend, creatore e autore di un pezzo autentico e solenne, con una struttura di cui spesso si parlerà, a metà strada tra ballad riflessiva e supersonico sgomento metallico. Un must. Il secondo e improbabile singolo dell'album risponde al nome Wrong Side, un up-tempo con rimorchio, per un totale di trentacinque quintali di lava fumante, vulcani in eruzione e tapping chitarristico Venusiano. Ma cosa, di preciso, accade nel doppio ritornello della canzone, in cui la voce Townsend diventa lirica e la chitarra solista impazzisce, trasformandosi in un treno di cristallo attraverso la stratosfera? Ancora pensiamo a cosa stia realmente accadendo, quando i synth spaziali ci accompagnano al primo break dominato dalle chitarre soliste duellanti, prima che la seconda parte del brano, tra sinfonie di matrice power e violenza sonora in background, ci porti verso un irreversibile finale da capogiro, in cui anche il più spietato cataclisma cadrebbe senza forza e motivazione. Assaggi dall'oltremondo, appendici di furia post-apocalittica. Ma è tutto umano, tutto più caldo che in passato, quando i filtri gelidi di City (1997) e lo strapotere matematico di Alien (2005) dominavano il sound della band canadese. È la mutazione dei geni e una consapevolezza differente, matura, filtrata e a volte volutamente costruita, come nella simpatica, originale e destrutturata Hope, traccia numero sei introdotta da posticci cori da "live bar", da una chitarra stentorea e dalle vocal graffianti di Townsend, che sembra voler insistere sul concetto musicale come analisi diretta della sua vita in un periodo (il 2006) di grande confusione e cambiamenti.
Every night, every day, feeling NO better, feeling right / wearing it metal, harder than steel / Making it better by keeping it real / I am what I've become because I've no hope, no faith in your hope. Hope.
E ancora di musica, questa volta con sentimento (e non con distanza emotiva) si parla nella successiva traccia, quella famosa e mai incisa prima di allora Far Beyond Metal, inno all'heavy metal scritto quasi dieci anni prima e spesso suonato in sede live. La nuova veste, più elegante ed effettata della versione originale, vede come ospite il compianto Dave M. Brockie / Oderus Urungus, leader degli storici GWAR, bravissimo nel fungere da contraltare a Townsend, impegnato in una lunga ed esilarante -per quanto sentita e potente- presa di posizione musicale:
Now that the music industry's ill, and we're the fucking antidote / One line and you're outta control, you fucking suck! e ancora Oh you ironic pop-rock fuck, don't you fuck with METAL / One line and you're outta control, yeah we fucking OWN you!
C'è divertimento e profondità, spensieratezza e scaltrezza, il tutto a fronte di un dinamismo sonoro che non avevamo mai percepito nella band, con riff granitici, tastiere che accompagnano ma non invadono e cori da stadio, in un andirivieni dall'alto tasso alcolico, con i duetti vocali tra Townsend e Brockie fino al grandissimo ritornello in cui il mastermind sfodera tutto il suo talento con vocalizzi altissimi e imprendibili, estesi e trascinanti, prima degli assoli gemellari che profumano di Maiden e secoli di musica pesante. Il finale del brano, tra fuoco e terra, è volutamente "live" e slabbrato e ci prepara alla traccia successiva, un brano rock impreziosito dalla salsa heavy che la band prepara nello scantinato della nostra mente bombardata: si tratta di Fucker, dal titolo esplicito, con la sua sotto trama di fitte ambience distorte e synth pulsanti, riff compatti e un acido assolo che profuma di incenso e jazz, in una folle impresa lirico-musicale che si auto bilancia sbandando e portandoci fuori strada ancora una volta: I said it before now I say it again / It was all too much for the ALIEN / So heavy metal, fuck it, rock / We're doing it for you, baby!. Passaggi fondamentali che ci fanno capire molte cose sul pensiero Townsend-iano, sulla sua visione del mondo e sulla musica. Parlando di "Alien" si autocita, passando poi attraverso un forte sentimento contrastante che verrà fuori solamente qualche tempo dopo, ovvero la scarsa voglia e propensione ad andare in giro per il mondo, in tour, distante e lontano dalla propria famiglia. È una costante non voluta ma necessaria, che sarà una delle principali cause dello scioglimento della band, del progetto in sé e dell'intenzione di suonare paradossali e violenti a tutti i costi.
The New Black è il punto che Townsend mette alla fine del percorso-SYL per non sfociare nella routine, nel "già detto/sentito/fatto". The New Black è malessere in forma positiva. È anti trauma e, soprattutto, rappresenta la volontà del suo creatore e leader assoluto. Un album che non sta fermo, che brulica a ogni ascolto suonando viscerale e moderno, intricato e sincero, ma anche semplice e dall'appeal assicurato, in una versione ristretta e zuccherata degli stessi Strapping. Un qualcosa che comprendiamo senza veramente capire fino in fondo, come una navicella aliena nel giardino di casa, un frastuono nel bel mezzo della notte, un fotone che ci supera in autostrada. Così, dopo valanghe di decibel e grandissime intuizioni, ci apprestiamo ad approdare all'ultima parte dell'album, costituita dal preziosissimo arco musicale di Almost Again, ricca, eccentrica, soffice e Polyphony/The New Black, nell'accoppiata vincente che chiude l'avventura musicale nel migliore dei modi, alternando un intro-ballad di rara intensità alla furente e fiera "riff-fest" della title-track:
Stand back – you burn the medic / Throw back – I'm broken / Stare back – attack, attack, attack / THE NEW BLACK – THE FACE OF CREATION!!!
TNB è un brano lungo e articolato, che macina il corso del tempo e della storia con una potente alternanza melodico-distruttiva, riff a sorpresa e una seconda parte oscura come il vuoto, tra accelerazioni marcate, furiosi blast-beat, onirismo sinfonico e istrioniche vocal declamatorie. È la fine, e noi lo sappiamo, o meglio, lo intuiamo.
...In morning they will come alone / And we arise as if the new day's dawned for everyone / But now we know, as much as we don't show... OUR WORLD HAS BEEN BLACKENED.
In un architettato fading finale la memoria, sfuggente, ci riporta al presente, in cui solo un rumore bianco ci fa pensare di essere ancora vivi e vegeti. Un'espressione musicale fuori dalla norma, per molti inarrivabile. Un costrutto scienza/parole/musica e cemento spesso come una città di rottami e solido come cotta di maglia. In quarantadue minuti siamo atterriti, estasiati, entusiasmati ed esausti: questo è il potere della musica.
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5
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mah... a me è sempre sembrato un'accozzaglia di canzoni slegate tra loro molto più vicino ai progetti solisti di Devin che allo stile SYL. |
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4
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il canto del cigno degli Strapping Young Lad è un album vario ed ispirato che non ha troppo da invidiare a lavori come Alien e City (pur essendo piuttosto diverso da questi ultimi). Devin Townsend e compagnia non potevano chiudere in modo migliore l'avventura di questa creatura musicale. |
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3
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l'inizio è qualcosa di pauroso e destabilizzante, appena mi riprendo continuerò l'ascolto |
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2
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Voto azzeccatissimo per un bellissimo album che mescola prog con punte di heavy e, a tratti, Death musica cristallina e potente. Spiace veramente che questa band di grandi musicisti non ci sia più. Townsend, come sempre, grandissimo e fuori dagli schemi. |
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1
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Sono ormai dieci anni che questa band si è sciolta, giusto l'anno di uscita di questo album. Ebbe una grande notorietà, anche commerciale, mescolando stili diversi : heavy, Death, prog, industrial, contornati da una vena di ironia. Band molto ispirata dall'istrionico Mr. Townsend. Era da tempo che non ascoltavo The new Black, ma la bella rece di Metalraw mi ha invogliato a riascoltare questo album con tutta calma (oggi è sabato, tempo da lupi e quindi tranquillo a casa) e, devo convenire, il voto è giustissimo , qui si parla di musica con la "M" maiuscola. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Decimator 2. You Suck 3. Anti Product 4. Monument 5. Wrong Side 6. Hope 7. Far Beyond Metal 8. Fucker 9. Almost Again 10. Polyphony 11. The New Black
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Line Up
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Devin Townsend (Voce, Chitarra, Tastiera) Jed Simon (Chitarra, Cori) Byron Stroud (Basso, Cori) Gene Hoglan (Batteria)
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RECENSIONI |
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