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21/12/24
GORY BLISTER + AYDRA
RCCB INIT, VIA DOMENICO CUCCHIARI 28 - ROMA
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METALLIZED CHARTS 2021 - Metalcore, Deathcore, Industrial
15/01/2022 (1575 letture)
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Il 2021 verrà ricordato a lungo dagli appassionati delle diramazioni con il suffisso -core: sono state numerose le uscite di qualità altissima, equamente divise tra gruppi approdati alla piena maturità artistica, debutti sfavillanti, ritorni impensabili e solide conferme. Dal metalcore al deathcore passando per l’industrial, tutti i nomi più attesi (con la sola eccezione del flop targato A Day to Remember) e le nuove leve hanno regalato dischi di assoluto valore, quasi fossimo tornati all’epoca d’oro di metà anni ’00 ma con lo sguardo diretto verso il futuro.
METALCORE
ERRA - ERRA Attraverso questo self-titled, gli Erra si impongono come legittimi padroni della scena progressive metalcore in virtù di un album sbalorditivo sotto tutti gli aspetti, dall’eccelso songwriting all’alchimia dei due cantanti fino ad includere lo sfoggio di tecnica, l’impeccabile produzione hi-tech e la profondità dei testi: in sintesi, un nuovo folgorante instant classic.
JINJER – WALLFLOWERS Il carro armato ucraino prosegue indisturbato la sua marcia trionfale. Wallflowers vede infatti la band mettere a punto la propria idea di modern metal esplicitantesi in un progressive groove metal -core compatto e granitico, vivificato dalla traboccante qualità di tre musicisti sempre più affiatati e dallo strapotere di una vocalist perfetta sia nel growl sia nelle clean vocals dolci, malinconiche e contraddistinte da un indelebile sentore di fragilità emotiva.
SPIRITBOX – ETERNAL BLUE La rivelazione dell’anno sono certamente gli Spiritbox, band guidata dall’eccelsa Courtney LaPlante, ex-cantante dei funambolici Iwrestledabearonce: l’universo sonoro dei canadesi si traduce in uno stile cangiante e multiforme avente nel metalcore solo il punto di partenza per traiettorie che divergono e si intrecciano allo stesso tempo sotto l’egida di un modern metal fatto di spirali prog, meccaniche djent, sentori alternative/nu metal e un ampio ricorso all’elettronica utilizzata per accentuare il cromatismo dei vari brani.
TRIVIUM – IN THE COURT OF THE DRAGON “Nella corte del dragone apprenderai quanto vali”. A solo un anno di distanza da What the Dead Men Say, i Trivium firmano un clamoroso bis con un album che trasuda epica regalità: thrash, heavy classico, death melodico e le non più rinnegate radici metalcore si uniscono in un superbo affresco sonoro dai toni fieri ed evocativi che dimostra l’inequivocabile attitudine al comando di Matt Heafy e della sua falange.
BORN OF OSIRIS – ANGEL OR ALIEN Angel or Alien, si presenta come un levigato prodotto coniugante metalcore, prog/djent ed elettronica, con quest’ultimo elemento che accresce notevolmente il proprio peso specifico tramite l’ampio spazio concesso ai sintetizzatori, fondamentali nel donare agli arrangiamenti sfumature orchestrali/sinfoniche e pulsazioni EDM. In tal modo i Born of Osiris hanno realizzato un disco completo, ispirato e decisamente contemporaneo senza dover rinunciare agli stilemi del metalcore progressivo che li ha resi celebri.
WHILE SHE SLEEPS – SLEEPS SOCIETY Continuano a migliorare i While She Sleeps e Sleeps Society è la nuova -graditissima- conferma: un melodic metalcore groovy, sfacciato, volutamente contaminato dall’elettronica e arricchito da ritornelli a presa rapida. Bravi anche nel variare il copione tramite azzeccate digressioni strizzanti l’occhio all’alternative, gli inglesi sembrano davvero giunti alla tanto agognata consacrazione.
ICE NINE KILLS – THE SILVER SCREAM 2 Il theatrical-core di The Silver Scream 2 conferma la bontà della visione del combo americano, ormai leader di questa specifica nicchia mescolante cinema e musica: ascoltare questo disco equivale in pratica a farsi travolgere da un vortice esaltante di melodic metalcore, strappi hardcore, gustose melodie dal flavour pop punk, arrangiamenti orchestrali, cori stralunati e una miriade di campionamenti tratti dai film più iconici del genere horror.
WAGE WAR – MANIC I Wage War in Manic propongono un’accezione del metalcore molto più elastica e smaliziata rispetto al passato, contraddistinta da un uso marcato dell’elettronica e dall’ampio ricorso a ritornelli infusi di sfaccettature emo/pop punk finora mai così esplicitamente catchy. I tecnicismi di matrice djent vengono in parte sostituiti da un riffing di ascendenza nu metal e i breakdown rivelano una forte attitudine in your face non di rado accompagnata dalle manipolazioni artificiali dei synth. La realtà però è che questa formula funziona alla grande e ogni singolo brano riesce ad avvincere in pieno l’ascoltatore grazie ad una tracklist ricca di brani da riascoltare in loop senza alcun senso di colpa.
DYING WISH – FRAGMENTS OF A BITTER MEMORY In alcuni casi, rimirare il passato lasciandosi avvolgere dall’abbraccio romantico della nostalgia può costituire una piacevolissima sensazione: i Dying Wish riattualizzano lo swed-core dei primi anni ’00 in un disco che impatta in modo ruvido e viscerale, andando dritto al punto con un dispiego di energia primitiva e una strabordante attitudine senza compromessi tipica del mondo hardcore gemellata con la pulizia melodica dei pattern chitarristici di scuola Göteborg.
BULLET FOR MY VALENTINE – BULLET FOR MY VALENTINE E chi se lo aspettava? Dati per finiti, i Bullet for my Valentine risorgono dalle acque stagnanti pop-oriented di Gravity e tornano a pestare duro in un disco omonimo rivestito di una solida corazza thrash metal che rimanda ai fasti di Scream Aim Fire. Peccato per un leggero calo nella parte centrale e per la cronica genericità dei testi, ma al di là di queste pecche siamo di fronte a un mezzo miracolo.
IMMINENCE – HEAVEN IN HIDING Heaven in Hiding è un ulteriore step in avanti rispetto a Turn the Light On: il riffing si fa più variegato, inserendo nel sostrato -core intromissioni tecniche di marca djent e screziature tendenti all’alternative metal, i breakdown non mancano ma la loro presenza è funzionale ad assecondare i moti di rabbia del singer e l’equilibrato dosaggio dell’elettronica è un altro contributo atto ad impreziosire gli arrangiamenti. Aggiungete l’emozionalità conferita dalle note del violino e dalla voce del talentuoso Eddie Berg e avrete così l’attuale miglior disco degli svedesi Imminence.
SION – SELF TITLED Il nuovo progetto di Howard Jones, stavolta insieme al famoso youtuber Jared Dines, riporta ai tempi d’oro del singer quando militava nei Killswitch Engage: un melodic metalcore “classico” testimoniante per l’ennesima volta l’inimitabile qualità vocale di un cantante che ha fatto la storia del genere. Tra harsh vocals devastanti e vette melodiche irraggiungibili, Jones vanta uno stato di forma eccellente e si prende la scena in ogni singola composizione.
MENZIONI SPECIALI
OF MICE AND MEN – ECHO Echo è la prova che gli Of Mice & Men hanno ormai trovato la quadra dopo le instabilità dell’ultima fase con Carlile: sotto la guida di Aaron Pauley il gruppo si è ricompattato tornando a fare quello che gli riusciva meglio, ossia un metalcore rabbioso e melodico al tempo stesso come da tradizione nel genere almeno da metà anni ’00.
ARCHITECTS – FOR THOSE THAT WISH TO EXIST For Those That Wish To Exist mostra un songwriting variegato, distaccantesi in parte dal metalcore/post-hardcore aggressivo del passato e abbracciando sonorità emotional già precedentemente esplorate alle quali si affiancano sfumature digitali, progressive, alternative ed elettroniche, pur senza rinunciare all’indole malinconica da sempre parte integrante della loro concezione musicale.
KNOCKED LOOSE – A TEAR IN THE FABRIC OF LIFE Un ep di venti minuti equivalente ad una mazzata in pieno volto: i Knocked Loose travolgono l’ascoltatore con una miscela dinamitarda di brutale hardcore moderno, metalcore, death metal e groove. Su un simile impianto strumentale si stagliano le urla perforanti e acute del singer Bryan Garris, garante che la minaccia di un prossimo album in linea con tale ferocia è più concreta di quanto si possa immaginare.
DEATHCORE
WHITECHAPEL – KIN Kin, tetra parabola in cui la veemenza ferale dei primi lavori viene sostituita da una concezione sonora più cerebrale e dilatata, è lo sdoganamento definitivo del post-deathcore e tale mutazione genetica si palesa in ognuna delle undici tracce, esemplari nel presentare un connubio ossimorico di aggressività e melodia, quest’ultima conferita soprattutto dall’ampio uso delle clean vocals di Phil Bozeman, talmente introspettive e coinvolgenti a livello emotivo da rendere l’ascolto davvero arduo.
CARNIFEX – GRAVESIDE CONFESSIONS L’ottavo album in studio di una band cardine del deathcore anni ’00 vede confluire in un sound nero come la pece giganteschi breakdown, cascate di blast-beat, riff in tremolo picking, diabolici intermezzi di tastiere e malate note di piano a corredo delle bestiali vocals di Scott Lewis, implacabile nello straziare i brani tramite i continui switch fra un growl abissale e uno scream/shriek perforante.
SLAUGHTER TO PREVAIL – KOSTOLOM Kostolom è un disco strabordante ed energico che di certo non passa inosservato: le tonnellate di riff fracassoni, i breakdown ingigantiti e pacchiani, la sfrontatezza del deathcore nu metallizzato e il growl inumano di Alex The Terrible sono gli ingredienti che regalano ai cafonissimi Slaughter to Prevail un posto fra le new sensation del deathcore moderno.
BRAND OF SACRIFICE – LIFEBLOOD Folgorante: i Brand of Sacrifice rivoltano il deathcore contaminandolo con perverse iniezioni industrial, una coralità sinfonica presagio di un’apocalisse imminente, assordanti glitch, harsh vocals corrosive e breakdown famelici. Eccezionale nel suo essere una clamorosa e voluta eccezione.
MENZIONI SPECIALI
LORNA SHORE – AND I RETURN TO NOTHINGNESS Sarà anche solo un EP di tre brani, ma se And I Return To Nothingness costituisce l’antipasto per un nuovo disco, allora la faccenda si fa seria. Un deathcore caustico, letale nei mortiferi breakdown e acido nella concatenazione di shriek e growl, il tutto amplificato da una vena orchestrale/sinfonica di magnificente bellezza.
INDUSTRIAL
MINISTRY – MORAL HYGIENE Passano gli anni ma Al Jourgensen ha ancora tanti nemici da combattere e storture da denunciare attraverso la sua musica carica di rabbia e indignazione. In mezzo al solito profluvio di campionamenti, ritmiche chirurgiche e un’elettronica fredda come l’acciaio, i Ministry si confermano una presenza irrinunciabile anche nella scena industrial contemporanea.
FEAR FACTORY – AGGRESSION CONTINUUM L’amarezza per l’addo di Burton C. Bell resta, ma quantomeno il suo ultimo capitolo con la Fabbrica della Paura è un lascito onorevole: l’industrial/cyber metal distopico di Aggression Continuum prosegue la narrazione dell’eterno conflitto fra uomo e macchina attraverso un imponente dispiego di ritmiche meccanizzate, tastiere, orchestrazioni e un taglio cinematografico degno della saga di Terminator.
ROB ZOMBIE – THE LUNAR INJECTION KOOL AID ECLIPSE CONSPIRACY Il buon Rob Zombie tira fuori dal cilindro un lavoro allucinogeno e allucinante, dove la base electro-industrial si apre a influenze alloctone funk, rock, country e bluegrass. Una discoteca horror-freak cucita su misura sul personaggio e ovviamente infarcita dei più disparati samples tratti dai migliori/peggiori B-movies che solo lui conosce, garantito.
STAHLMANN – QUARZ Allievi della Neue Deutsche Härte, gli Stahlmann intagliano nel quarzo un album ideale per i depravati estimatori del metallo industriale volutamente infettato dalle automazioni dell’elettronica. Chitarroni alternative metal, il programming synth-etico dell’industrial e i ritmi marziali dell’EBM che sfondano le casse: non si può chiedere altro a chi segue la lezione dei Rammstein e degli Oomph!. LORD OF THE LOST – JUDAS Un album divisivo che non ha convinto appieno tutti ma che merita senz’altro l’inclusione nella nostra classifica: i Lord of the Lost mettono in atto un’imponente biografia musicale incentrata sul traditore per eccellenza Giuda in quasi due ore di industrial-gothic vissute tra note di pianoforte, layer elettronici e atmosfere dark abilmente gestite dall’intensa e versatile performance vocale di Chris Harms. La narrazione a tutto tondo su uno dei personaggi più controversi della storia non poteva che trovare un corrispettivo sonoro altrettanto ambiguo ma dall’indubbio fascino.
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6
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Bell'articolo! Fra le band citate i dischi che hanno ruotato in pianta stabile nella mia playlist sono Eternal Blue degli strepitosi Spiritbox (fra i dischi dell'anno a mio avviso), In the court of the dragon dei Trivium (ennesima conferma di una band ispiratissima), Judas dei Lord of the Lost (band che ho cominciato ad approfondire incuriosito dall'ultima release e che a mio avviso merita tanto) e For those who wish to exist degli Architect (significativi cambi di direzione e stile per questi ultimi ma una classe invidiabile). |
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5
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In ambito "core" per me questo è stato l'anno dei Whitechapel, con un album che non mi ha ancora stancato ed ormai non è più assimilabile ad alcun genere definito; poi grazie a Jacopo ho scoperto ed amato anche l'omonimo degli Erra, anche se ha sostato per meno tempo tra i miei ascolti, ed infine la tamarraggine degli Slaughter to Prevail, che ad oggi non credo abbia rivali (a meno che non si vadano a ripescare gli Infant Annihilator). Per me, al contrario di @Shock, l'ultimo album di Rob Zombie è forse il migliore che il nostro abbia sfornato da anni a questa parte, mentre invece concordo su Ministry e Fear Factory. Consiglio a tutti invece di dare un ascolto a "Quarz" degli Stahlmann, una bella lezione di Neue Deutsche Härte come si deve, davvero piacevolissima. |
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4
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L ultimo fear factory mi è piaciuto, poi sicuramente i Whitechapel e il loro disco più sperimentale, i carnifex scoperti grazie ad indigo e i soliti trivium |
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3
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Anhche l'acustico dei demon hunter non è male per niente |
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2
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....per me...jinjer e Whitechapel.... |
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1
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Per me qui alla grande Trivium e Bullet for my Valentine, entrambi autori di due disconi. Per il testo il nulla, compresi i dischi di Ministry, Fear Factory e Rob Zombie, purtroppo di bassa qualità. |
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