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HOLLYBLOOD - # 24 – Bomb City
24/09/2019 (2046 letture)
Bomb City è uno di quei film che lasciano un segno, che prendono lo spettatore dritto alla gola. È una pellicola emotivamente molto dura, e la ragione è semplice. Tutto è successo davvero. Dicitura spesso ridicola, quel “tratto da una storia vera” assume qui tutto un altro significato, come vedremo più tardi. L’esordio di Jameson Brooks, uscito nel 2017, si basa su un fatto di cronaca avvenuto negli Stati Uniti verso la fine del secolo scorso. Una storia come ne succedono tante, troppe, ma che all’epoca fece molto parlare, e che il regista, originario di quei luoghi, restituisce in maniera vivida, dopo averla a suo tempo vissuta.

Bomb City è Amarillo, una cittadina del Texas che deve il suo soprannome a un vicino impianto di smaltimento di armi nucleari. Ma Amarillo, almeno nel 1997, è anche e soprattutto una polveriera sociale, teatro di un dramma annunciato in verità nelle primissime immagini del film. La storia racconta le vicende di Brian Deneke e dei suoi amici, giovani punk che stanno cercando di mettere in piedi una sala da concerti. Malgrado l’aspetto appariscente, i ragazzi sono tutto sommato tranquilli, e passano il tempo ubriacandosi e ascoltando musica tra di loro. Creste e borchie non sono però ben visti in questo squallido centro della provincia americana più retrograda e conservatrice. I protagonisti si scontrano spesso con una ghenga di liceali, membri della locale squadra di football, i classici figli di papà atletici e popolari della middle class americana bianca. L’inimicizia tra i due gruppi è palese, sistemica, e mostrata sin dall’inizio della pellicola. Da insulti e provocazioni si passa in fretta a spintoni e intimidazioni, in un crescendo di tensione che sfocia nell’inevitabile tragedia.

Il regista si affida a un linguaggio piuttosto classico, mettendo in scena la lotta tra due blocchi contrapposti e in qualche modo speculari. Ma non si tratta solo del conflitto tra due bande rivali, perché l’avversione dei liceali è condivisa da tutta la comunità circostante, per la quale il “diverso”, incarnato dai borchiati protagonisti, rima con “pericoloso” e “sbagliato”. Lo scontro sorpassa quindi la spaccatura fra due sottoculture (punk e jock), e si pone a un livello più ampio, venendo a descrivere l’opposizione tra normalità e alterità. I giovani punk vengono schiacciati dalla società contro la quale hanno deciso di ribellarsi, proprio perché ribelli e diversi. Una vessazione cieca e idiota, basata sull’aspetto esteriore, perché, nei fatti, i due gruppi hanno passatempi simili. Pogare sotto un palco non è forse simile (o meno stupido) all’ammucchiarsi come bestie su un campo da football? L’alcool che scorre nelle serate di questi ragazzi non è poi troppo dissimile. L’unica cosa che conta non è quindi la sostanza, ma il vestito e, di conseguenza, la conformità delle persone in questione. Poco importa se i veri esponenti della gioventù bruciata sono proprio quei bravi ragazzi presi a modello dalla comunità. Ciò è esemplificato dal rapporto fra le due bande e la polizia, che (mal)tratta i punk come fossero pericolosi criminali, ma tollera con il sorriso le derive nichiliste dei figli di papà, che hanno l’unico merito di indossare la giacca di una squadra di football al posto di un chiodo borchiato.

Tecnicamente, il film si distingue per il sapiente uso dei flashback e del montaggio alternato. Strumento molto efficace, quest’ultimo mette in evidenza più di una volta la contraddizione tra “buoni” e “cattivi”, mostrando chiaramente la bieca ipocrisia del sogno americano. Un’ipocrisia che corre come un fil rouge per tutto il film, raccontata dalle parole eloquenti di un “ospite” che i lettori di questa rivista non faticheranno a riconoscere. Come detto poi, la tragedia annunciata da subito non fa altro che fomentare una tensione latente che cresce di minuto in minuto. Spezzano il ritmo alcuni momenti delicati, isole fugaci in una storia drammatica. Dal punto di vista formale, Bomb City convince completamente, grazie a una prova attoriale solida e a una durata breve, poco più di un’ora e mezza, che sembra sempre più rara al giorno d’oggi. Chiudono il cerchio le belle e curate inquadrature, che aggiungono una marcia in più al prodotto finito. Di bello c’è però solo la forma, perché lo snodarsi degli eventi colpisce lo spettatore come un maglio. Non c’è alcuna epica nella lotta, i torti non vengono ripagati, i malvagi non vengono puniti, come ci ha abituato la narrativa dell’industria dello spettacolo. Non c’è nessun equilibrio finale, ma una vicenda amara, profondamente sbagliata, che lascia dietro di sé uno schiacciante sentimento di ingiustizia. Un’ingiustizia lancinante proprio perché reale. Ecco perché la storia di Brian Deneke lascia un vuoto nel cuore. È qui che il “tratto da una storia vera” di cui si parlava all’inizio assume il suo pieno e insostenibile significato. Qualcuno potrà obbiettare che il regista sia di parte, che la divisione fra buoni e cattivi, quelli veri, sia fin troppo evidente. Al di là di come sono andate veramente le cose, noi diciamo che è giusto così. Che chi ha permesso questo, che chi ha chiuso gli occhi, non si merita altro.



Black Me Out
Giovedì 26 Settembre 2019, 14.36.38
11
Il problema è che in questo caso la storia è reale e nel film è riprodotta piuttosto fedelmente, basta recuperare articoli di cronaca locale del periodo. Non bisogna soffermarsi sulla presunta discriminazione della sottocultura in esame, ma piuttosto riflettere sull'immagine che il film da del sistema giudiziario e penale americano, che in questo caso - così come in molti altri, soprattutto in zone come il Texas (ed anche in questo caso la cronaca locale è facilmente consultabile) ha preferito chiudere entrambi gli occhi e prendere la scelta più conveniente per il proprio tornaconto, andando contro tutte le evidenze del caso. Poi, certamente il regista sta dalla parte dei punk e di Brian Deneke (ha anche organizzato alcuni eventi e concerti - con anche membri dei Ramones tra l'altro - per finanziare le attività benefiche dei genitori dello stesso Brian) e nel film è evidente, seppur la sceneggiatura a parer mio non faccia sconti a nessuno: sia i giocatori di baseball che i punk si ubriacano e fanno cazzate tutto il giorno, il focus sta nel comprendere che di fronte ad un omicidio colposo accertato la giustizia americana ha preso un corso totalmente opposto alla logica. A questo proposito è interessante recuperare il discorso che Marilyn Manson tenne a New York nel 2000, intitolato "Disinformation Speech", nel quale parlò anche del caso Deneke sotto un punto di vista decisamente stimolante.
Area
Giovedì 26 Settembre 2019, 13.04.19
10
Il film comunque é l'ennesima storia di discriminazione nei confronti di una subcultura/movimento, in questo caso quello punk. In realtà una storia comune in molti paesi ma tuttavia dipende dai casi. Ho visto gente Punk (conciati come quelli del film eh) che aeva amici normalissimi e che andava a scuola e non veniva preso in giro, al massimo qualche professore lo criticava un po e pure lì dipende da che professori hai, spesso e volentieri in Italia sta gente fa l'Artistico infatti dove ci vedevi girare veramente chiunque e dove pure i professori sono eccentrici (almeno quando facevo le superiori io 20 anni era così).
Ratto
Giovedì 26 Settembre 2019, 10.01.52
9
L'ho visto dopo aver letto la recensione, mi ha abbastanza disgustato non perchè sia brutto il film, anzi, ma per la storia che fa venire fuori sempre i soliti problemi della società, dove le ingiustizie sono sempre a danno dei più deboli e/o diversi.
Area
Mercoledì 25 Settembre 2019, 16.16.54
8
@Black Me Out, a vedere la locandina e la foto qui presente mi é venuto alla mente quel film. Certamente questo é un film molto più drammatico anche a livello di premessa. Non seguo moltissimo il cinema anche se ho visto diversi dei film a tema musicale (e non solo, tipo quello di Van Gogh) usciti in questi ultimi anni o al cinema o a casa di amici.... quindi non so che atmosfere hanno i film usciti dal Sundance.
Black Me Out
Mercoledì 25 Settembre 2019, 14.22.48
7
Nulla di più distante da SLC Punk @Area (film che peraltro ho amato da ragazzino); pensa più alla corrente presa ultimamente dai film usciti dal Sundance Festival e ti avvicinerai maggiormente alle atmosfere di questo film.
Area
Mercoledì 25 Settembre 2019, 13.40.47
6
Mai sentito, ma cercherò di informarmi. A prima impatto mi sembra un SLC Punk part 2 meno comedy, però a quanto pare sembra essere molto diverso. A margine ci tengo a dire che ho conosciuto alcuni Punk come i ragazzi della storia narrata nel film, ho ascoltato per parecchio tempo Street Punk e spesso e volentieri sono persone tranquille anche se appariscenti. Molto spesso sono anti razzisti.
Galilee
Mercoledì 25 Settembre 2019, 12.20.11
5
Mai visto, me lo segno, sembra davvero interessante.
gianmarco
Mercoledì 25 Settembre 2019, 0.47.29
4
chi è l'ospite ?
gianmarco
Mercoledì 25 Settembre 2019, 0.39.48
3
lo vedrò , vi consiglio di vedervi il nuovo pazzesco film di Pupi Avati Il Signor Diavolo .
Fossifigo
Martedì 24 Settembre 2019, 13.39.55
2
Complimenti per questa rubrica non l'avevo vista! Fantastica.
Black Me Out
Martedì 24 Settembre 2019, 11.29.49
1
Uno dei miei film preferiti, diventato tale alla prima visione. Bellissimo articolo e film magistrale, da vedere obbligatoriamente.
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Brian Deneke
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