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30/08/2017 (1289 letture)
CRYPTOPSY
La giornata inizia delicatamente con il set dei Cryptopsy che ripropongono in questo tour estivo il loro capolavoro e classico None So Vile nella sua interezza. Nonostante sia il batterista e fondatore Flo Mounier l’unico superstite della formazione originale del gruppo, la line-up odierna ha diversi anni di tour e dischi alle spalle e risulta molto rodata, fin troppo per poterli chiamare una cover band dei Cryptopsy come troppi sarebbero portati a pensare. Anche la voce di Matt si è nel tempo adattata meglio alla proposta dei Cryptopsy, i cui vocalist più famosi (Lord Worm e all’estremo opposto Mike Di Salvo) avevano una timbrica tutt’altro che comune. A conti fatti, l’esecuzione dell’intero album è stata non solo estremamente fedele, ma anche spaventosamente violenta, complice tanto la qualità incredibile del materiale proposto (ma questo lo sapevamo già) quanto la precisione dei musicisti, la loro coesione e il loro tiro, come anche i suoni piuttosto ben tarati.

Di fatto non è una novità che i set del gruppo, soprattutto quelli nei club show, siano principalmente incentrati su questo album, ma sentirlo tutto di fila, con anche quel paio di pezzi che di norma non è proprio facile ritrovare in scaletta, massimizza l’efficacia dell’esperienza live di questa band, e non è solo mia impressione che nonostante l’orario alto-pomeridiano (scelta logistica dovuta agli spostamenti del tour) l’affluenza di pubblico sia stata ben superiore alla norma sotto il sole cocente di Jaromer.


HOUR OF PENANCE
Gli Hour of Penance sono il primo gruppo italiano che ho modo di seguire durante il weekend di festival. Tra i più attivi esponenti della scena death moderna italiana ed europea, la band torna al Brutal Assault dopo l’esibizione di due anni fa per promuovere questa volta il proprio terzo full-length. Come da standard della band, il death metal tecnico incontra una massiccia dose di pathos e melodie che incoraggiano aperture e sezioni corali nel plotter tendenzialmente brutale della loro proposta.

Dal vivo l’esibizione è certamente molto precisa ed intensa, sebbene non privilegiata dai suoni (come spesso, sotto al tendone del terzo palco), ma è seguita da un numero davvero ampio di astanti e dai molti italiani che sono soliti frequentare il festival su base annuale.


NILE
Assisto per la prima volta ad un’esibizione dei Nile in assenza del loro frontman Dallas Toler-Wade, recentemente ritiratosi dal gruppo, con qualche dubbio sulla possibile resa del gruppo, che a mio parere cominciava ad accusare una certa mancanza di dinamismo nelle esibizioni dal vivo degli ultimi anni, esecutivamente perfette, ma quasi scariche sul piano vocale, decisamente centrale nella proposta del gruppo e nella sua non comune scelta di avere 3 cantanti tra cui spartire le linee vocali. Vediamo quindi Karl Sanders riprendere il ruolo di leader del gruppo, affiancato da giovani ma preparatissimi musicisti e come sempre, da George Kollias alla batteria. Apprezzo fin da subito che sia la posizione sul palco che la “configurazione vocale” del gruppo sia stata ripristinata al periodo classico del gruppo: basso e voce gutturale centrale, con una timbrica paragonabile a quella di Vesano, il nuovo chitarrista a destra a ricoprire il ruolo di solista principale e con un growl poco più alto come quello di Toler-Wade, e infine Sanders a sinistra che rispolvera senza parsimonia il suo classico gutturale catacombale, rappresentando la timbrica più bassa del trio.

La scelta della scaletta è veramente eccellente, tutti i classici del gruppo vengono coperti nel giro di un’oretta circa, con anche il tempo per qualche chicca come Defiling the Gates of Ishtar, o soprattutto la mastodontica Unas Slayer of the Gods eseguita nella sua interezza, che non mi era mai capitato di sentire dal vivo, e che a detta di Sanders è stata qui suonata per la prima volta nelle numerose esibizioni della band al Brutal Assault durante le 22 edizioni del festival. L’impressione, non solo mia, è quella di una band che nonostante (e forse grazie a) un cambio di line-up così delicato si sia svecchiata, apparendo più divertita sul palco, più energica e in un certo senso più death metal, mantenendo la professionalità e la perizia tecnica che l’ha sempre caratterizzata. In particolare, l’esecuzione vocale è così riuscita da incidere sensibilmente (in positivo) sull’esibizione, che vanta suoni ben bilanciati e che rendono giustizia al songwriting tutt’altro che lineare del quartetto del South Carolina.


SWANS
Tra le esibizioni più particolari, uniche, magiche e personalmente più attese di questa edizione del Brutal Assault c’è quella degli Swans, band newyorkese che vanta di essere uno dei progetti musicali più singolari, influenti e irripetibili, nonché ad oggi tra i più longevi, nella storia della musica non leggera. Il visionario e carismatico frontman Micheal Gira ha guidato il gruppo dalle caotiche, pulsanti e soffocanti origini post-punk del gruppo, sviluppando il sound primitivo e acromatico (da molti riconosciuto come l’antecessore dello sludge) attraverso gli anni della musica industrial, fino alla più selvaggia sperimentazione di un rock progressivo dalle tinte oniriche e rituali, poi ancora attraverso tinte neo-folk e anticipando anche gli stilemi della darkwave nei primi anni ’90. Una discografia sconfinata, costellata di successi sebbene con le dovute distanze da qualsiasi forma di mainstream, incompatibile con la proposta tutt’altro che digeribile degli Swans, che prendono proprio il nome dai cigni, “creature eleganti, maestose ma con un pessimo carattere”, per citare il frontman e la sua perfetta e concisa descrizione dello stile del gruppo.

Al loro ritorno sulle scene, gli Swans vantano già una quantità di materiale post-reunion pubblicato da riempire ore e ore di musica, ancora una volta senza essersi veramente ripetuti. Ogni esibizione del gruppo è di fatto unica e irripetibile in sé, dal momento che siamo davanti a una band che è anti-rock e anticonvenzionale anche nella scelta della struttura dei propri set. Per intenderci, non suoneranno le loro “hits”, né ripeteranno un copione, né la scenografia ricoprirà un qualche ruolo se non di marginale importanza nell’esperienza live degli Swans. In generale, al cenno di Gira il pezzo nasce da una breve, concisa cella ritmica che viene ripetuta in loop da uno degli strumenti (tre chitarre, un basso, tastiere e batteria), mentre gli altri, guidati dal frontman esattamente come da un direttore d’orchestra, costruiscono suoni, rumori, armonizzazioni e melodie che sviluppano dei crescendo, distruggono la ripetizione ossessiva che comunque fa da backbone ad ogni sezione, esplodono nel caos e si spengono al minimo capriccio di Gira, che si agita, impreca a denti stretti, e conduce tutto lo show.

È quasi frustrante come ogni pezzo, giusto quando sembra stia per approcciare un groove, o una qualche successione di note che sia melodicamente memorizzabile, allora entri in gioco una musicologia distruttiva che ne scuote completamente le fondamenta, indirizzando tutti gli strumenti, all’unisono, in un baratro caotico, rinviando in continuazione quel “comincio” che non arriva mai. L’ascoltatore ne risulta frastornato, interdetto ma ipnotizzato da un ritmo martellante, che ha più a che vedere con musica primitiva ed etnica che con la musica pop, pur avendo inglobato tutti i caratteri (in termini di sound) del rock sperimentale e del post-punk. Nello specifico, lo show degli Swans è letteralmente pesante, e non nel senso della densità di idee, ma proprio per l’intensità dei colpi, per la pienezza della distorsione, per la dinamica delle percussioni e lo stridere dei piatti. La voce di Micheal Gira è contemporaneamente eterea e straziante, come una sorta di David Bowie oscuro, tormentato. Le linee vocali hanno una recitazione quasi evangelica, solenne, e rappresentano uno dei picchi emotivi dell’esibizione.


EMPEROR
Nettamente lo show con più astanti e quasi indubbiamente quello più atteso di questa edizione è quello dei norvegesi Emperor, le cui esibizioni dal vivo sono rarissime e a quanto pare estremamente costose per i promoter, tanto che sono ben pochi i festival ad essere riusciti ad accaparrarseli quest’anno, nel tour celebrativo del loro capolavoro Anthems to the Welkin at Dusk, riproposto nella sua interezza in questa e poche altre selezionate occasioni. Rispetto alla prima reunion del 2013, che aveva celebrato il ventesimo anniversario del loro album di debutto, Faust è sostituito dietro le pelli da Trym, batterista sul secondo lavoro discografico della band, ripristinando così 3/4 della line-up originale dell’album, assieme naturalmente ai chitarristi Samoth e Ihsahn.

La lunga traccia di apertura introduce al set con un crescendo che poi esplode su Ye Entrancemperium in un tripudio di luci verdi, come l’iconica copertina dell’album. L’intensità del disco è ancor meglio riprodotta dal vivo, e una volta tralasciate le sensazioni di anacronismo (che sempre aleggeranno sulle esibizioni odierne delle band di quella scena musicale), non si può che godere di un’esecuzione praticamente impeccabile valorizzata da suoni ineccepibili e da una prestazione appassionata del frontman Ihsahn sia su scream che sui più rari momenti in pulito. Il drumming sempre sul pezzo fornisce uno scheletro solido alle particolari orchestrazioni chitarristiche e di tastiera che caratterizzano il disco, rendendo ogni passaggio estremamente chiaro senza minimamente intaccarne l’intensità e permettendo di soppesare sia il carattere più aggressivo che quello più atmosferico del materiale degli Emperor.

Fortunatamente la pioggia incombente risparmia completamente lo show dei norvegesi, che prosegue fedelmente con la tracklist di Anthems to the Welkin at Dusk, eccezion fatta per lo scambio delle ultime due tracce, per anteporre la strumentale di chiusura e terminare il set con la classica e (passatemi il termine) piuttosto cantabile With Strenght I Burn, tra i pezzi più coinvolgenti del set. Raramente mi è capitato di vedere così amplificata dal vivo l’esperienza di un intero album, e pur non potendomi annoverare tra i fan più accaniti del gruppo, l’esibizione è da considerarsi tra le mie preferite del festival. Ultimo regalo alla pletora di fan è l’encore con l’inattesa ma plausibilmente sperata Inno A Satana, la closer del classico In The Nightside Eclipse, che Ihsahn presenta accoratamente come un inno alla libertà, compresa quella di ritrovarsi ad un festival come questo, in una sorta di superfluo tentativo di autogiustificazione della propria gioventù.


SUFFOCATION
Altra band pronta a dissipare i dubbi circa la propria attuale line-up: i Suffocation si ripresentano con un nuovo batterista dopo l’incredibile escalation degli ultimi anni tra Mike Smith, Dave Culross e Kevin Talley, che sicuramente non rende le cose facile per il nuovo arrivato. Anche alla voce e alla seconda chitarra troviamo due nuovi volti a colmare l’assenza di Frank Mullen (sempre in line-up ma non più presente dal vivo) e Guy Marchias (che ha abbandonato il gruppo lo scorso anno) e anche in questo caso, come per il batterista, si tratta di ragazzi piuttosto giovani e certamente non personalità affermante nell’ambiente death metal, né di navigata esperienza.

Nonostante ciò, le aspettative non vengono disattese e gli standard a cui i Suffocation hanno abituato negli anni il proprio pubblico non vengono assolutamente traditi: precisione e tiro da vendere per quanto riguarda tutti gli strumentisti, e anche il giovane vocalist dopo un paio di pezzi si lascia andare dimostrando di saper cantare e calcare il palco. Il set, d’altro canto, è quasi interamente composto di classici del gruppo, e non può che essere apprezzato da ogni fan, e anche in questo caso il lavoro dei fonici è stato assolutamente convincente. Mentre la pioggia comincia a cadere sempre più fitta, e nonostante l’ora tarda, l’affluenza di pubblico è impressionante e ancora di più è il pit che si apre davanti al palco.



ObscureSolstice
Giovedì 7 Settembre 2017, 0.47.58
2
è sempre stato un bel festival, anche per il contorno e l'aria che si respira
Doom
Mercoledì 6 Settembre 2017, 8.52.03
1
Sono anni che mi riprometto di andarci...e che non ci riesco. Spediamo la prossima edizione sia quella buona. Uno dei migliori festival per chi ama il metal piu estremo.
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