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ALMOST FAMOUS - # 9 - The Quireboys
23/02/2014 (3881 letture)
La strada per The Quireboys sembrava davvero spianata, sin da subito. Una veloce gavetta, l’agognato contratto con una major, il debutto col botto in patria, tour importanti. Poi improvviso come il successo, l’oblio e lo scioglimento. Infine il ritorno, lontano dalle copertine e dai fasti di un tempo, eppure sincero e coinvolgente, ancora una volta nel nome del rock’n’roll e della musica dal vivo, come una volta, come sarà per sempre. Una storia leggermente diversa rispetto ad altre che vi abbiamo raccontato nella serie Almost Famous, che inizia cioè con un successo appena assaporato e finisce al contrario con una piccola ma insistente luce, paradigma di tante altre band bruciate troppo presto, eppure ancora capaci di rialzarsi.

LONDRA CAPUT MUNDI
Quando negli anni 60 la cosiddetta Swingin’ London dava il via alla rivoluzione elettrica che avrebbe in pochissimo tempo cambiato per sempre la storia della musica contemporanea, le band che si resero fautrici di questo cambiamento elessero blues, rhythm’n’blues e rock’n’roll quali generi di riferimento per quella che sarebbe diventata una stagione indimenticabile. Partendo dalla lezione statunitense e aggiornandola con una particolarità melodica tipicamente europea, i gruppi inglesi seppero reinventare un genere codificando per i decenni a seguire uno stile che di fatto da allora si ripete e rinnova solo in pochissimi aspetti, divenendo una sorta di spina dorsale per tutto il secolo ventesimo e fino ad oggi. Che ad esso si siano poi aggiunti in diverse coniugazioni il folk e il jazz, piuttosto che la musica classica europea, le sperimentazioni compiute grazie ai campionatori ed ai sintetizzatori, fino ad arrivare alle estremizzazioni sonore e ritmiche odierne, poco cambia in realtà rispetto ai canoni stabiliti cinquant’anni fa, se non i termini dell’espressione esteriore, l’intenzione, le scelte di immagine e di ispirazione. Tutto cambia e alla fine tutto torna al punto di partenza. Londra, metropoli mondiale, in quegli anni poteva ben dirsi capitale di un cambiamento sociale di portata generazionale, che troverà presto altri luoghi e altre coniugazioni, siano essi San Francisco, New York o Berlino. Ma da allora la capitale inglese, pur perdendo la sua primazia, resta uno dei cuori pulsanti e irradianti della musica mondiale. E’ inevitabile quindi che per molte band o artisti, il richiamo della città resti fortissimo ed è proprio così che inizia la storia dei Choirboys. Il giovane Jonathan Gray nasce infatti a Newcastle, ma decide presto di spostarsi nella metropoli londinese, seguendo la sorella maggiore Julie. Sarà proprio lei a presentargli un altro ragazzo, Guy Bayley, col quale il futuro Spike andrà a convivere per un anno, del tutto ignari che di lì a poco la loro vita sarebbe cambiata per sempre. Sarà solo per un caso infatti che i due si ritroveranno a suonare assieme delle cover di Chuck Berry e inizieranno così a coltivare qualche ambizione musicale, fondando il loro primo gruppo rock’n’roll, The Choirboys, appunto. I due furono raggiunti da Nigel Mogg (nipote del famoso Phil Mogg degli UFO), Chris Johnstone e Paul Martin. La band muta il monicker nel ben più controverso The Queerboys ed inizia ad esibirsi con regolarità, mentre il primo batterista lascia per i contemporanei e molto affini The Dogs D’Amour e viene sostituito da Nick “Cozy” Connell. A parte Spike, quasi tutti gli altri membri del gruppo provenivano dallo Staffordshire ed erano vecchi compagni di scuola. La band si fa notare in numerosi tour minori, finché il moniker comincia a diventare troppo ingombrante e perfino scomodo, tanto che l’organizzazione del famosissimo Reading Festival invitò nel 1987 i ragazzi a suonare, a patto però che cambiassero nome. Il gruppo decide così di trasformare nuovamente il monicker in The London Quireboys e, infine, nel più duraturo The Quireboys. Piccoli inceppi che comunque non rallentano affatto la corsa della band, che pubblica i primi due singoli Mayfair (uno dei brani più amati dal singer Spike) e There She Goes Again. Entrambi ottennero un fortissimo riscontro nelle classifiche inglesi e fu così che la mistura di rock’n’roll, blues, hard rock e glam della band cominciò ad attirare i mai nascosti fans di Rolling Stones, Faces, Small Faces, unendoli ai tanti giovani appassionati di glam rock che in quegli anni spopolava ovunque. Cosa abbia fatto la differenza per i Quireboys rispetto ai Dogs d’Amour è davvero difficile stabilirlo, se non forse il maggior appeal radiofonico dei loro brani, fatto sta che a quel punto il gruppo rilascia il terzo singolo 7 O’Clock centrando di nuovo la Top 40. In formazione entra un nuovo chitarrista anch’egli proveniente da Newcastle, l’istrionico e folle Ginger. Il crescente consenso che si andava creando attirò l’attenzione anche oltre Oceano e fu la ben nota Sharon Osbourne a farsi avanti diventando la nuova manager del gruppo, mentre alla fine del 1989 i Quireboys supportavano i lanciatissimi Guns N’ Roses nel loro tour inglese. I buoni uffici della Osbourne valsero un prestigioso contratto con la major EMI e la pubblicazione del primo acclamato A Bit of What You Fancy, che trainato dal successo del singolo Hey You raggiunse la seconda posizione della classifica britannica (fermandosi però al ben meno lusinghiero centoundicesimo posto negli States, a testimonianza della difficile esportabilità della formula del gruppo), scaraventando i ragazzi nel dorato mondo dello stardom. Nel frattempo, il batterista Cozy Connell era stato sostituito dal veterano Ian Wallace e già nel 1990 Ginger sarà licenziato dagli altri (fonderà poi gli splendidi The Wildhearts) e sostituito da Guy Griffin. Il successo e la potenza del management fecero dei Quireboys una delle band di punta in quel 1990 e fu così che il gruppo si ritrovò a girare come supporto per band del calibro di L.A. Guns, Soundgarden, The Cramps, Iggy Pop, coronando il sogno di suonare come opening act per i Rolling Stones al St. James Park, ed infine ottenendo un prestigioso riconoscimento davanti alla platea del Monsters of Rock, assieme a Whitesnake, Aerosmith, Poison e all’altra promessa inglese Thunder, per un tour di sogno che si concluse a Tokyo di fronte a cinquantamila spettatori adoranti. Un crescendo davvero notevole, che sembrava preludere alla definitiva consacrazione, con la conferma in Europa e l’ottenimento del successo anche negli States.

IL GRANDE SPARTIACQUE
L’ottimo riscontro raggiunto con A Bit of What You Fancy forse basterebbe a portare i Quireboys lontano da quel perimetro di riferimento che solitamente consideriamo per definire una band come Almost Famous ma, come abbiamo visto, la vera consacrazione per il gruppo non era ancora giunta, dato che il successo per il momento arrivava sostanzialmente solo in terra europea ed è infatti da qui in avanti che la situazione per la band si complica. Per tanti versi, quanto occorso finora rappresenta il sogno di molti gruppi, quel qualcosa che mancherà per sempre, eppure, quanto seguirà d’ora in avanti avrebbe potuto essere troppo per tutti. In effetti, per molte band il non raggiungere mai il grande successo pur mantenendo un livello di riscontri mediamente diffuso, può rappresentare la classica ancora di salvataggio, l’approdo comodo e felice al quale fare riferimento, che non appaga mai pienamente, ma nemmeno fa morire di fame o rende vano ogni sforzo. A volte invece di troppo successo si muore, perché le cose diventano troppo più grosse e complesse rispetto al mero suonare e comporre, registrare e andare in tour. Per i Quireboys fu esattamente questo il caso: i nostri erano autori di brani semplici, immediati, solidamente radicati in una tradizione che proveniva dagli anni sessanta/settanta della quale la band si faceva credibile interprete grazie all’ugola roca e viziosa di Spike e alla musica scoppiettante ma tutto sommato tranquillizzante proposta dal resto del gruppo. Uno schema che la band amava e ama tuttora, ma che non poteva garantirle il salto di qualità definitivo e la consacrazione anche negli States, mercato nel quale occupava una posizione underground e tutta da consolidare. Fu così che le pressioni per il gruppo divennero semplicemente insostenibili: dover replicare il grande e immediato successo in Europa e al contempo sfondare la barriera americana, continuando a suonare la musica che fino a quel punto li aveva sostenuti, sembrava impossibile. Inoltre, dopo il lungo ed estenuante tour di supporto al primo album, la band si trovò a fronteggiare il grande spartiacque della musica degni anni 90: l’affermazione del grunge, dell’alternative e, da lì in avanti, il declino della scena hard rock e glam che fino a quel momento l’aveva sostenuta e portata all’immediato successo. Eppure il gruppo, come accade spesso in questi casi, non aveva nessuna intenzione di svendersi o ricercare chissà quale evoluzione, preferendo rimanere fedele a quella musica che aveva sempre amato: il rock’n’roll. Una scelta coerente e apprezzabile, purtroppo per loro, però, ormai del tutto fuori tempo. Fu così che i Quireboys arrivarono nel 1993 al secondo album, Bitter Sweet & Twisted, in un momento in cui per le classiche sonorità inglesi non c’era già più spazio. A nulla valsero la produzione del guru Bob Rock, l’uomo del successo del Black Album o il tour di supporto ai Guns N’ Roses per il loro mastodontico Use Your Illusion: il disco pur replicando in tutto e per tutto la freschezza dell’esordio e confermando la vena compositiva più che feconda della band, nella sua canonicità, non incontrò il riscontro sperato, fermandosi alla posizione trentuno della classifica inglese e non raggiungendo quella americana. Un allontanamento confermato anche dai singoli che raggiunsero con Brother Louie la posizione trentadue, per essere poi risucchiati per sempre, tanto che Only Love, terzo estratto, uscirà nel solo Giappone. Improvvisamente, il gruppo non tirava più e la sua musica non interessava più nessuno, tanto che in un momento di lucidità i ragazzi capirono che la buona stella aveva girato loro le spalle e dopo poco decisero di separare la propria strada; nello stesso 1993 per i Quireboys cadde il sipario, apparentemente chiudendo una carriera cresciuta in maniera esponenziale e altrettanto velocemente caduta nell’oblio.

IT’S ONLY ROCK’N’ROLL… AND I LIKE IT
Cosa può fare un musicista rimasto a piedi dopo aver assaporato per un attimo il sapore del successo? Mille cose in effetti, tra le quali vivere di ricordi e passato, spendendo il proprio tempo a raccontare agli amici al pub per la centesima volta di quel giorno in cui un non proprio sobrio Michael Schenker cercò di colpirti con un cazzotto nel backstage di un concerto, prendendosi in cambio un tuo destro; scena che si concluse poi con una presa di wrestling a terra da parte di un ragazzo della sicurezza per calmare il gigante tedesco. Oppure, dopo qualche anno, puoi provare a vedere se qualcuno ancora si ricorda di te e se la tua musica ha ancora un pubblico. E’ così che dopo una brevissima reunion negli anni 90, il gruppo si ritroverà agli inizi del 2000 con una nuova line up (di cui fanno parte, oltre a Spike, anche Guy Griffin e Nigel Mogg) e un nuovo album dal chiaro titolo This Is Rock’n’Roll. Ancora una volta, il tempo sembra non essere passato affatto e il gruppo riprende esattamente da dove aveva interrotto, riproponendo il proprio repertorio e la propria identità da reduci/gitani del rock’n’roll, con la stessa schiettezza e convinzione di un tempo. Il gruppo scopre che in realtà i propri fans non si erano scordati di loro e anche se i fasti di un tempo sono ben lontani, lo spazio per una onorevole carriera resta ancora. E’ così che nel 2004 esce il buon Well Oiled e il gruppo ricomincia a girare in tour, passando anche dall’Italia in una intensa apparizione al Gods of Metal del 2004 a Bologna, edizione funestata come molti ricorderanno dal fortunale che investì palco e pubblico nel primo giorno con i Judas Priest come headliner. La macchina una volta rimessa in moto pur concorrendo su piste secondarie è ancora in grado di regalare emozioni e la credibilità con la quale la band persegue la propria visione la trasporta in un limbo atemporale, regalando agli inglesi uno spazio nel cuore di tanti appassionati che ne ammirano la coerenza, lo spirito indomito e puro, sfuggito alle lusinghe del mercato come a quello di improbabili contaminazioni moderniste, per portare un messaggio che travalica il tempo e le mode. Per un nuovo album ci sono quattro anni da aspettare, ma l’appuntamento con Homewreckers and Heartbreakers è solo l’ennesima conferma, il ritorno di un amico. Per la band c’è anche tempo per un album acustico dal vivo Halfpenny Dancer (titolo che dice tutto dell’attitudine attuale della band) uscito prima in versione limitata (1000 copie) con tredici brani e poi in versione deluxe estesa a quindici brani nel 2009. La storia dei Quireboys continua ancora oggi ed è del 2013 l’uscita di Beautiful Curse, ennesima testimonianza di un sound immortale che ancora non ha finito di esprimere la propria identità, seppur ormai lontano dalle preferenze di molti, ma dolcemente conservato dall’affetto di chi ama i grandi classici e ne riconosce il valore al di fuori del tempo.

UNA GRANDE BAR BAND
Dai fumosi band londinesi alle grandi arene mondiali, per poi tornare alla naturale dimensione di bar band, i Quireboys ci raccontano una storia comune a quella di molte altre realtà venute fuori piuttosto velocemente in anni in cui il genere imperversava nelle classifiche mondiali e trovare un contratto con una major era cosa relativamente semplice. Anni in cui i dischi hard rock ed heavy metal si vendevano a milioni di copie e nei quali una partecipazione ad eventi come il Monsters of Rock significava il coronamento di una carriera. Al tempo stesso ci raccontano del destino di tante altre band arrivate al successo troppo in fretta per imparare a gestirlo, fino a ritrovarsi vittime della loro stessa affermazione. Infine, sono tra le tanti testimoni del cambiamento drastico che case discografiche e pubblico imposero a partire dai primi anni Novanta, che avrebbe cambiato per sempre la faccia di un mondo che era nato trent’anni prima e che stava per andare incontro alla rivoluzione digitale, la quale, vent’anni dopo, ancora non ha espresso il proprio potenziale fino in fondo, ma ha già cambiato in maniera drastica tanto le abitudini, quanto la concezione stessa della musica, ormai non più interprete generazionale, ma media tra i tanti, in attesa di un’ulteriore cambiamento di paradigma. Che i ragazzi inglesi, ormai maturi e irriducibili rockers abbiano trovato nuovamente la via del palco, rinunciando ai lustrini e ai consensi del grande pubblico senza svendersi mai e perseguendo semplicemente il proprio stile di vita e la propria visione del mondo, testimonia come alla condizione di Almost Famous si possa sopravvivere comunque con tenacia e leggerezza, senza farsi illusioni e al tempo stesso senza rinunciare ai propri sogni. Anche solo per questo, senza considerare comunque il livello ben più che discreto delle loro attuali uscite discografiche, i Quireboys hanno col tempo dimostrato di essere molto più che un semplice fuoco di paglia, rivelando quanto profondamente fossero innamorati della propria musica e quanto, in un mondo in eterno cambiamento, una grande bar band continui ad essere semplicemente indispensabile.

DISCOGRAFIA THE QUIREBOYS
1. A Bit of What You Fancy (1990)
2. Bitter Sweet & Twisted (1993)
3. This Is Rock'N'Roll (2001)
4. Well Oiled (2004)
5. Homewreckers & Heartbreakers (2008)
6. Halfpenny Dancer (2009)
7. Beautiful Curse (2013)



Metal Shock
Mercoledì 21 Settembre 2016, 21.16.28
10
Come al solito una band che ha raccolto un decimo di quello che meritava. I primi due album sono fantastici e gli altri, chi piu` chi meno, molto buoni. Spike un cantante che ricorda Rod Steward, molto bravo d espressivo. Grandi!!!!!
VomitSelf
Domenica 9 Marzo 2014, 15.09.21
9
Bellissimo articolo! Cazzo, poi mi ha ricordato dei Wildhearts, band che la mia mente aveva quasi del tutto rimosso. Avevo due loro album, "Earth Vs. Wildhearts" e "PHUQ" ed erano fottutamente fighi...
Elluis
Sabato 1 Marzo 2014, 18.40.42
8
Quando si dice lupus in fabula: saranno a Clusone (BG) questa estate ad un festival locale con ingresso gratuito. Una buona occasione x rivederseli........
Mauro Paietta "My Refuge"
Martedì 25 Febbraio 2014, 13.21.39
7
Visti diverse volte, tra cui l'ultima pochi mesi fa, band di grande spessore e valore artistico. Dovrebbero essere molto più considerati dagli amanti del rock
Elluis
Martedì 25 Febbraio 2014, 13.05.33
6
Li vidi tanti anni fa a Bresso ad una delle serate organizzate dagli Hells Angels: fecero un gran bel concerto, e anche dopo furono molto disponibili a fare quattro chiacchere con la gente che li avvicinava. Da qualche parte dovrei ancora avere delle foto di quella serata, le prime foto che facevo in digitale......
spiderman
Domenica 23 Febbraio 2014, 20.44.04
5
Concordo con l commenti sottostanti ,grandissima band,grandissimi artisti,nulla questio sulla loro bravura e maestria.Fortemente consigliati ai veri amanti del rock."This is Rock 'N' Roll",gia' proprio come si intitola un loro album e proprio questo loro sono.Chapeau.
Sambalzalzal
Domenica 23 Febbraio 2014, 18.53.58
4
Grandissimo Spike e grandissimi The Quireboys! Purtroppo da sempre strasottovalutati e sfortunati. Radamanthis@ se vuoi un consiglio compra anche l'ultimo perché è veramente bello!
enri sixx
Domenica 23 Febbraio 2014, 16.45.48
3
grande band , grandi album e veri rockers che volere di piu' ?
Radamanthis
Domenica 23 Febbraio 2014, 12.14.04
2
Di questa band ho solo (in files tra l'altro...) A Little Bit Of What You Fancy del 1990 e contiene canzoni veramente belle. Credo di doverli approfondire un pò di più...
Raven
Domenica 23 Febbraio 2014, 11.49.19
1
Grande band.
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