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Trails of Sorrow - Languish in Oblivion
( 2482 letture )
Sfogliando le pagine ingiallite, impolverate di questo volume, si ravviva in me la memoria di ciò che è stato e adesso non è più. Tutto intorno un interminabile silenzio, mentre la penombra arricchisce di contorni sfumati gli oggetti che mi circondano, che mi appaiono sempre più insignificanti e vuoti, come lo è la mia anima. I ricordi ormai sbiaditi riaffiorano, si insinuano a fatica tra le pieghe dei miei pensieri mormorandomi che sono qui, adesso, che sono ancora vivo. Ma sono proprio loro a rievocare in me le immagini di ciò che è stato, di ciò che un tempo brillava di luce propria e di cui adesso non rimane che un’ombra sempre più informe e indefinita. Ciò che è stato, ciò che un tempo mi rese felice e spensierato, adesso non è più, ormai è morto fuori e lentamente muore anche dentro di me. Sono qui col mio carico di rimorsi, col mio infinito senso di desolazione, con quel oscuro manto di tristezza e malinconia che ormai mi opprime, a decretarne per sempre la fine, a celebrarne questo interminabile e straziante "funerale".

Ecco così che affiora la parola chiave che ci guiderà lungo questo faticoso ma impagabile percorso, ma al bando gli scongiuri, perché il defunto in questione non è una persona fisica, bensì appunto le sue speranze, le sue gioie e tutto ciò che una volta colorava le sue giornate ma che oramai ha gradualmente perduto anche i seppur tenui cenni di tonalità per tramutarsi in un lugubre e soffocante "noir", come quello che già dalla cover prefigura oscuri presagi.
E’ questa una possibile visione del paesaggio in cui vi ritroverete inoltrandovi in questo terreno, per cui, qualora pensiate di non riuscire a sostenere questa prova, volgete pure altrove le vostre attenzioni; per quanto la rappresentazione funerea che state per perdervi meriterebbe più di una possibilità, i gusti sono insindacabili e così sia. Aspettate un attimo, però: prima di abbandonare definitivamente questa recensione e soprattutto questo disco, godetevi almeno le emozioni del brano conclusivo e, magari, cambierete idea. A tutti gli altri, specie ai doomster più estremi, consiglio di seguirmi, ne vale veramente la pena.

Volendo sintetizzare la sostanza di ciò in cui vi imbatterete fin dal principio di questo platter, direi che la definizione funeral doom ci sta tutta, sebbene spesso ci si trovi lungo una linea di demarcazione non del tutto netta tra funeral e gothic doom, specie per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’ambientazione di alcuni specifici brani; qualche sporadica venatura vagamente black/doom qua e là completa il quadro complessivo, di suo già alquanto austero.
Tra i protagonisti di questo scenario di certo vanno annoverati gli stillicidi di riff corpulenti e risuonanti, centellinati con imponenza e perseveranza, spesso ulteriormente sostenuti da suoni intensi emessi simbioticamente dal synth; magari, in questo contesto, essi non saranno raggelanti ed incisivi come quelli organistici adoperati in passato con un simile intento dagli Skepticism, ma l’espediente mantiene un certo grado di efficacia anche nel caso specifico.
Inutile dirlo, per lunghi tratti i tempi si fanno accentuatamente dilatati e le percussioni sono programmate per infliggere colpi di cassa scanditi in down tempo ma puntualmente rocciosi e secchi. E’ un’ultra lentezza pachidermica, di quelle che ti tengono costantemente con il fiato sospeso, come nella perenne attesa che qualcosa di terribile stia per materializzarsi, di quelle che infliggono colpi micidiali proprio nell’attimo in cui sembra che il peggio sia appena passato, per poi trascinarti nel limbo di inquietanti ed interminabili attimi ricchi di suspense, altresì popolati da fosche ed ostili presenze.
Per quanto riguarda lo stato di tensione, il merito è senza ombra di dubbio degli arrangiamenti al synth, tra melodie circolari al piano ed ottenebranti effetti ad archi che, sotto varie forme (violini, violoncelli e contrabbassi), si ricamano il loro spazio quasi ovunque. Quando i corposi riff tacciono, infatti, a tracciare un solco profondo ci pensa lo "sconsiderato abuso" (in senso positivo) delle note basse, che vibrano intensamente instillando un intimo senso di sofferenza e dipingendo di un nero profondissimo anche le sezioni solo apparentemente più inoffensive. Dunque l’aspetto melodico è molto curato e si estrinseca, oltre che attraverso le partiture scure al synth, anche nei frequenti rintocchi delle corde di chitarra acustica.
Riguardo, invece, alle oscure presenze di cui si faceva menzione, esse prendono vita ed imperversano sulle parti strumentali grazie alle tecniche vocalistiche adoperate, che si destreggiano tra gorgheggi gutturali oltretombali al rallentatore e voci clean deliranti e tormentose, sporcate dall’effettistica (soprattutto echo), confinate sulle retrovie e sfocianti sovente nella più totale schizofrenia canora, tra tetri sospiri ed interpretazioni in clean agonizzanti che ricordano alla lontana quelle indimenticabili di Darren White (primi Anathema).
Fanno eccezione, a dire il vero, le saltuarie ma assolutamente devastanti e malefiche bordate in scream/growl che si registrano in particolare in alcuni brani. Trattasi in pratica degli episodi in cui si avvertono, come già accennato, anche commistioni tra scenari dark e vaghe influenze black/doom, non solo per l’abbozzo di quello stile vocale, ma anche per le sporadiche puntate in un moderato up tempo, con la cassa puntellata di colpi contigui tra loro, il che suona un po’ insolito, specie dopo aver sperimentato i ritmi estesi che caratterizzano i brani introduttivi. Il riferimento è a Wonderful Memories e See My Blood Flowing: il primo è decisamente ben riuscito, soprattutto in virtù dell’avvincente contrasto tra harsh vocal e suoni organistici, mentre il secondo forse si protrae troppo diventando alla lunga un po’ ripetitivo, come intrappolato nell’attesa di qualcosa che in realtà, stavolta, sembra non arrivare mai. Ma sono quisquilie, decisamente compensate dalle tracce più attraenti del platter, vale a dire quelle di ispirazione più propriamente funeral doom, come soprattutto Living as to Live is to Suffer, che avvolge nella sua lenta agonia ed avvince per i suoi imponenti arrangiamenti.
Qua e là lungo il percorso si ha più volte la possibilità di rifiatare, di concedersi fugaci pause di riflessione e piccole dosi di sana malinconia, come nella frusciante Trees Crying Leaves, o di disorientante aspettativa, come nelle brevi tracce strumentali denominate In Luce e A Blinking Sorrow, ma si tratta solo di un assaggio di ciò che sta ancora per arrivare.
Ed Ora è La Fine: non è il sottoscritto a decretarlo, ma proprio il titolo del brano conclusivo, che lascia dietro di sé, come se non bastasse tutto ciò che lo precede, una scia di profondo sconforto e desolazione, tra note gravi di piano, atmosfere e melodie al synth ed una narrazione in clean più regolare anche nei toni, per enunciare liriche (questa volta nella nostra lingua) intrise di cordoglio e rassegnazione, culminanti nello scroscio di un fitto acquazzone autunnale.

Se siete arrivati fin qui allora fate un ultimo sforzo, perché è tempo di tirare le fila.
Potrei soffermarmi a disquisire sulla perfettibilità di questo o di quel suono, sulla plasticità di certi passaggi (specie delle tastiere e delle percussioni, o meglio della drum-machine), sulla semplicità di certe liriche e potrei perfino porre l’accento su lievi pecche nella pronuncia e nella dizione della lingua inglese.
Potrei, ma è sulle idee che preferisco soffermarmi, per esaltare l’approccio con cui questa giovane band ha saputo avvicinare un genere che sembra sempre morto, anzi lo è per definizione, ma che poi trova il modo di resuscitare ogni volta sotto forme nuove ed entusiasmanti, almeno per chi è quasi naturalmente portato ad apprezzarne le sue tipiche spoglie mortali. Stavolta, però, non è nel corpo di una band scandinava che sceglie di reincarnarsi, bensì in quello di un esordiente duo tricolore, composto dal vocalist ed autore dei testi Dying Poet of Funeral Litanies e del polistrumentista Friedrich Restless Soul, che di certo da quei luoghi lontani traggono parte della loro ispirazione (tra tutti, nominerei senz’altro i Thergothon). Non si direbbe, a giudicare dagli enigmatici e fuorvianti appellativi dei componenti, ma vi posso assicurare che, nonostante altresì il disco sia prodotto dalla label statunitense Domestic Genocide Records, i Trails of Sorrow sono italiani e Languish in Oblivion rappresenta solo un ulteriore esempio di come non manchino di certo giovani talenti in grado di tenere alta la bandiera del metallo di casa nostra. Ciò che non può e non deve mancare, invece, è il nostro supporto, questo è certo.
Non c’è molto altro da aggiungere, per cui per concludere mi limiterei ad usare solo tre parole: una piacevole scoperta!



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
88.66 su 15 voti [ VOTA]
Andy '71
Domenica 18 Novembre 2012, 8.53.51
10
Molto interessanti!
moon
Domenica 18 Novembre 2012, 8.32.18
9
bellissimi
Rino
Venerdì 2 Novembre 2012, 9.27.56
8
Belli pesanti abbestia
doom
Lunedì 22 Ottobre 2012, 18.01.27
7
grandi
Gore
Lunedì 22 Ottobre 2012, 12.20.28
6
Belli loro , mi piacciono
Doomster
Sabato 20 Ottobre 2012, 22.31.51
5
Ottimo esordio per questi Doomster romani, che riescono a fondere le atmosfere più cupe e claustrofobiche del funeral doom con aperture gothic ben ponderate e decisamente d'efetto. Bellissima la seconda traccia "Living as to live is to suffer" (non consigliata ai depressi!!) L'unica pecca è la produzione, potente e "gloomy" sì,ma a volte suona un po' troppo artefatta.
Ahti
Sabato 20 Ottobre 2012, 21.35.52
4
Meravigliosamente lenti! Ringrazio metal3k per avermi permesso di scoprire questa realtà che difende orgogliosamente il vessillo del funeral doom senza risultare una copia sbiadita di capolavori per definizione irraggiungibili. J.
Metal3K
Sabato 20 Ottobre 2012, 17.16.27
3
@Golem: gradirei che ti soffermassi solo sul disco, magari argomentando almeno un minimo il tuo punto di vista anzichè sentenziare su di me. Non sono io il protagonista della recensione, bensì il disco. Io ho dato il mio punto di vista, se non sei d'accordo non c'è problema, l'importante è che i toni siano adeguati. Per quanto riguarda il mio amico Giasse, condivido con te la stima nei suoi confronti e nei confronti della sua smisurata competenza in campo funeral, su questo non ho certo da prendere lezioni da te. Mi spiace, per stavolta ti è andata male, ma vedrai che magari la prossima volta leggerai il suo nome al posto del mio in calce ad una recensione funeral, quindi in pratica rivuoi qualcosa che nessuno ha intenzione di toglierti, ammesso che sia importante sapere cosa vuoi tu, dato il modo in cui ti poni. Infine, quello che hai segnalato era un chiaro refuso che mi ero portato dietro con un copia/incolla dalla biografia ufficiale della band (eh sì, lì c'è un errore evidentemente...), di cui non mi ero accorto e che ho sistemato. Nella line up però era scritto correttamente ed era chiaro che non poteva essere in quel modo. Grazie comunque per la segnalazione.
Golem
Sabato 20 Ottobre 2012, 15.58.07
2
Dying Poet's of Funeral Litanies. Ah ah ma che vuol dire? Itaglioti!
Golem
Sabato 20 Ottobre 2012, 15.56.00
1
Pessimi. Niente da fare, non ci capisci nulla! Rivogliamo Giasse!
INFORMAZIONI
2012
Domestic Genocide
Funeral Doom
Tracklist
1. Dreams Are Dying
2. Living as to Live is to Suffer
3. A Grave of Loneliness
4. Trees Crying Leaves
5. See My Blood Flowing
6. In Luce
7. Suffering Comes
8. Wonderful Memories
9. A Blinking Shadow
10. Ora è La Fine
Line Up
Dying Poet of Funeral Litanies (Vocals)
Friedrich Restless Soul (Guitars, Synth, Programming)
 
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