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29/11/24
KARMA
SANTERIA TOSCANA 31 - MILANO
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Hallatar - No Stars Upon the Bridge
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18/10/2017
( 4533 letture )
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L'arte non si può separare dalla vita. È l'espressione della più grande necessità della quale la vita è capace, e apprezziamo l'arte non tanto per il prodotto, ma per la sua rivelazione di un'esperienza di vita.
Così, con queste semplici parole, il maestro della pittura realista nordamericana di inizio Novecento, Robert Henri, sintetizzava il senso dell’indissolubile legame che unisce un’opera d’arte al suo creatore, evidenziando allo stesso tempo la sua duplice natura di esperienza “viva” e “necessaria” per chi la concepisce. Si possono dunque contare a legioni, nel corso dei secoli, gli esempi di artisti che, indipendentemente dalla forma del linguaggio con cui hanno espresso il proprio talento, hanno raccontato di come le spinte creative per le loro opere si siano presentate con l’incalzante tratto dell’inevitabilità figlia dei casi della vita, smentendo in buona parte il luogo troppo spesso comune che vorrebbe l’ingegno abitare in un algido empireo separato dal mondo reale. Quando poi l’imperscrutabile dipanarsi dell’umana esperienza sottopone un’anima a prove oltremodo dure e dolorose, ecco che l’arte può raggiungere un’ulteriore dimensione, in cui all’urgenza della realizzazione si aggiunge una funzione quasi terapeutica, se non di vera e propria catarsi.
Per ammissione dello stesso Juha Raivio, sono state più o meno queste le premesse che hanno portato alla nascita del progetto Hallatar, figlio della tragica scomparsa di Aleah Starbridge nell’aprile 2016 e dell’inconsolabile senso di vuoto che ha accompagnato la prematurissima perdita della compagna d’arte e di vita. A un mese di distanza dall’evento, il mastermind finlandese ha sentito il bisogno di imbracciare la chitarra e creare qualcosa per non essere annientato dal dolore e, citando le sue parole, “something did arrive out of the darkness”. Concepito e composto in una sola settimana di pura tempesta creativa (e di cui, come dichiarato da lui stesso, Raivio ha perso del tutto la memoria, tanto è stato profondo il livello di coinvolgimento), No Stars Upon the Bridge arriva alle stampe senza aver subito alcuna modifica né limatura successiva, fissando in musica gli stati d’animo che si accompagnano alla scomparsa delle figure con cui la nostra esistenza cerca di sfuggire a un destino di solitudine e buio eterno. Per riempire le principali caselle del progetto, tenendo per sé tutte le parti di chitarra, basso e tastiera, Raivio si è rivolto a due titani della scena del Grande Nord, affidando il microfono alla divina ugola degli Amorphis, Tomi Joutsen, e le pelli all’ex batterista degli HIM, Gas Lipstick e convocando in aggiunta, come ospite, una delle dee della scena gothic/doom, quella Heike Langhans che a Saffle accompagna sua maestà Anders Jacobsson sulla tolda vocale del galeone Draconian. A completare un ipotetico dream team, ecco poi in primo piano anche la componente visiva, con la cover affidata alle delicatissime mani di un Fursy Tessier che dimostra di avere nel disegno non meno qualità di quelle sfoderate pentagrammaticamente nella veste Les Discrets e che qui, raffigurando una coppia di cigni di cui uno in caduta, rende alla perfezione il concetto di tragica separazione di ciò che era stato indissolubilmente unito.
La presenza di Tessier, peraltro, disegnatore anche in quel caso della copertina, sembrerebbe rafforzare un trait d’union che più di qualcuno avrà sicuramente immaginato fin dall’annuncio dell’uscita dell’album ma, diciamolo subito, i legami tra i Trees of Eternity e gli Hallatar sono molto meno stringenti di quanto si possa supporre e chiunque si appresti ad accompagnare Juha nelle sue stazioni di dolore deve tener presente che Hour of the Nightingale è un album “di e con” Aleah, mentre questo No Stars Upon the Bridge è un lavoro “per” lei. Il collegamento più immediato, allora, è piuttosto con l’altro grande poema composto da Raivio sul tema della perdita, vale a dire quello spettacolare Emerald Forest and the Blackbird che è a tutt’oggi il vertice qualitativo della creatura madre Swallow the Sun. Ed è proprio alle sonorità del combo di Jyväskylä che rimanda più immediatamente, in molti episodi, questa nuova avventura (con diverse escursioni verso il lato più denso e pesante del doom, secondo la declinazione classica di Songs from the North III), ma non manca anche un sostanzioso contributo in arrivo dal versante “cantautorale” dell’ispirazione, a confermare una straordinaria capacità di dare profondità di campo anche a strutture semplici ed essenziali. A occupare il centro della scena è però in realtà l’altro grande marchio di fabbrica Swallow the Sun, da sempre maestri di atmosfere in cui far risaltare il senso di smarrimento dell’uomo di fronte agli infiniti che lo circondano e che lo trascinano inesorabilmente verso la presa di coscienza del proprio destino, in una sorta di grigio-rassegnazione che arriva a lambire il nero della disperazione ma che, alla prova dei fatti, ha ancora spazio per scampoli di delicata poesia, per quanto sussurrata e crepuscolare (cos’altro è stata, in fondo, la traiettoria artistica di Aleah, se non un viaggio tra malinconiche dissolvenze e colori sfumati, territorio per antonomasia di sogni e abbandoni?). Chiave di volta in cui si scaricano tensioni e linee di forza ma anche vertice delle potenzialità liriche e melodiche delle stesse, la prova vocale di Tomi Joutsen è un autentico gioiello incastonato nell’oro, grazie a un arcobaleno di timbri e toni che spaziano in tutti i registri toccati, che si tratti delle abrasioni dello scream, degli inabissamenti del growl o degli improvvisi squarci idilliaci del clean.
Nove tracce complessive di cui tre contenutissime, in termini di minutaggio, l’album si apre con il monumento swallowiano della tracklist, Mirrors, che innalza subito un monolite oscuro prima graffiato e poi reso se possibile ancora più maestosamente impenetrabile da Joutsen qui davvero vicino al modello kotamakiano, prima di un finale in cui rivivono i fasti di una Doomed to Walk on Earth. Nebbie e vapori sembrano diradarsi parzialmente nella struttura portante di Melt, ma è bene non farsi troppe illusioni, perché il brano sperimenta in fretta articolati meccanismi di stop and go che lo rendono in più di un passaggio lisergico e quasi stravolto da un uso della voce che qui sfiora addirittura esiti teatralmente avantgarde. Tocca alla discesa in campo di Heike Langhans, nella successiva My Mistake, condurre a un vero e significativo cambio di registro, dando corpo alla vena cantautorale a cui facevamo riferimento e che è di fatto il lascito più significativo dell’esperienza Trees of Eternity. Al di là delle coincidenze biografiche con il percorso “geografico” di Aleah, la scelta di ospitare la cantante sudafricana trapiantata in Svezia si rivela del tutto azzeccata, regalando una traccia intrisa di eleganza e raffinatezza sconfinate e perfettamente in linea con il progetto solista parallelo della Langhans, col moniker Lorelei. Ed è ancora la dimensione acustica a screziare Severed Eyes, forse un po’ immeritatamente sacrificata in termini di durata (magari dopo il passaggio ad alta resa corale non avrebbe sfigurato una lettura più “increspata”, se non proprio tormentata), ma è già tempo di rituffarsi in onde torbide ed opache che si fanno catrame seguendo la rotta di The Maze, dietro cui si intravvede l’ombra funeral doom di maestri del genere del calibro di Skepticism o Mournful Congregation. Il viaggio sembra essere giunto alla sua dimensione definitiva con un carico di sconforto e angoscia, ma per pronunciare l’ultima parola viene chiamata in causa direttamente lei, Aleah Starbridge, sfruttando una linea vocale evidentemente rimasta in archivio e che viene fatta qui interagire con l’impianto più melodicamente orientato del lotto e con uno scream mai così spigolosamente allucinato in carico a Joutsen. Difficile trasformare in parole le sensazioni provate al primo ascolto, impossibile restare indifferenti di fronte allo stupore di sentire ancora così viva una voce forse reclamata davvero in quella dimensione magica in cui è nata, di sicuro nei sei minuti di Dreams Burn Down c’è tutto il dolore che si può riversare nella nostra piccola esperienza di individui… ma anche l’eco inconfondibile dell’eternità che ci sovrasta.
Sospeso tra incanti celesti e umane miserie, commovente fino alle lacrime, con un imprescindibile contributo autobiografico che lo rende fragile di dolore ma allo stesso tempo fiero nella rivendicazione di un’esperienza di vita che giunge titanicamente alla dimensione artistica, No Stars Upon the Bridge è un album che regala un’importante stella al firmamento doom. Il tempo dirà se Juha Raivio avrà tempo e voglia di riunire gli Hallatar per ulteriori cimenti, a noi non resta che ringraziarlo per questa ennesima, magnifica prova da architetto di emozioni.
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20
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Album veramente profondo e intenso. Alcuni pezzi, con un songwriting spettacolare. Naturalmente, visti i musicisti coinvolti e i gruppi da dove provengono, mi aspettavo assolutamente qualcosa di ottimo. Non mi hanno deluso. Sono poi personalmente vicino (per quanto possa) alla vicenda umana di Ravio e la mia grande ammirazione per aver saputo mettere in un album, almeno una parte delle sensazioni provate. Da qualche parte, avevo letto che dai momenti difficili, spesso escono le cose migliori, in campo artistico (e penso anche in altri campi). Tra le migliori uscite dell'anno. Au revoir. |
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19
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Album veramente ottimo |
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Ahahah, entropy, se ho capito vagamente i tuoi gusti dai commenti in calce alle rece corro il rischio, dovrei farcela, a sfuggire alla tua ira funesta... |
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@red rainbow io faccio parte del 0,1% che si basa solo sulle recensioni. Domani mi dovrebbe arrivare il cd. Okkio che se non mi piace ti vengo a cercare! |
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forse il disco lo senti scialbo proprio perché non ti sei voluto addentrare nelle tematiche, che definirei imprescindibili per quel che riguarda l'opera in questione. |
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@ OZZY: dalla Treccani, "vergogna - Fatto o situazione che costituisce o che reca disonore e discredito". Non so se aver espresso su un album un giudizio di merito diverso dal tuo basti per disonorare irreparabilmente la mia reputazione, ma di sicuro so che il 99,999999999% dei lettori di Metallized non decide di comprare un album solo sulla base di una recensione. Grazie comunque per il consiglio di "sfruttare e ascoltare il tubo e ogni altro canale possibile", effettivamente in tanti qui non ci avevano mai pensato, prima di sostenere la fatal spesa... adesso sì, che si spalancano nuove frontiere... |
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Il commento e' rivolto solo ed esclusivamente al disco per quello che vale musicalmente e non come tributo a chi o a qualcosa.. il fatto che sia o possa essere un tributo non deve necessariamente essere un capolavoro.. non mi sono neppure addentrato su altre tematiche . Il disco è' scialbo, piatto e monotono, e fortunatamente la durata e' limitata ai 40 minuti, |
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@OZZY: Che il disco possa non incontrare il tuo gusto è lecito, che tu sia in disaccordo con il recensore altrettanto, ma, lasciatelo dire, ad essere vergognosi sono certi commenti in merito a della musica scritta, come sfogo e tributo, da un uomo che pochi giorni prima aveva perso la compagna di una vita (una ragazza di 39 anni). |
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Qualche sprazzo quà e là, ma in generale una gran palla al piede....... il doom di classe è ben altro 65 e sono di manica larga prima, e lunga poi PS per il recensore, belle parole, meno male che oggi rispetto a ieri ognuno di noi prima di buttare i proprio soldi ha la possibilità di decidere sfruttando e ascoltando il tubo e ogni canale possibile......... HOOOOOOOOOO i cd costanooooooooooooooooo 87!!!!!!!! vergognati |
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Ascoltato una volta e subito ordinato, settimana prossima sarà mio... |
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10
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dato due ascolti. è intensissimo, dreams burn down fa letteralmente male. a questo punto non posso non prenderlo, e ho molta curiosità di sfogliare l'artwork, quello dei trees of eternity è splendido, delicato, perfettamente in sintonia con la musica, non so cosa aspettarmi da questo, ma la mano che l'ha creato è pur sempre la stessa. |
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9
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Severed eyes è spettacolare |
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8
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“Severed Eyes” ... é poesia perfettamente “sospeso tra incanti celesti e umane miserie”. |
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7
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Cd in arrivo. Nel frattempo mi associo ai complimenti per la più bella recensione che ho letto quest'anno. |
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Grazie mille gamba. e vai tranquillo/a, c'è davvero molto molto molto, oltre a Mirrors... |
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ad ogni modo complimenti per la bellissima recensione |
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devo ancora ascoltarlo, ma mirrors era un gran pezzo |
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Vi odio perché a me non è ancora arrivato |
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Che dire......tra questo e Hour of the Nightingale Juha ha tirato fuori due capolavori d incredibile bellezza. Davvero sono senza parole. Questo No Stars Upon the Bridge è semplicemente disarmante nel suo essere contemporanemente mesto e funereo, angosciante e straziante ma anche atmosferico e sospeso. Tomi come sempre dimostra di essere uno dei migliori cantanti in circolazione, Heike è sempre stellare e ancora una volta (forse probabilmente l'ultima) troviamo una Aleah spettrale, davvero un triste angelo del cielo. E' davvero un album commovemnte fino alle lacrime, come lo è ancora il suo fratellastro Hour of the Nightingale. Due gemme nere che dimostrano davvero come l'essere umano si ritrovi svuotato e perso dopo un grave lutto. Juha grazie di averci donato questo tuo dolore. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Mirrors 2. Ravens Song 3. Melt 4. My Mistake 5. Pieces 6. Severed Eyes 7. The Maze 8. Spiral Gate 9. Dreams Burn Down
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Line Up
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Tomi Joutsen (Voce) Juha Raivio (Chitarra, Basso, Tastiera) Gas Lipstick (Batteria)
Musicisti Ospiti Heike Langhans (Voce)
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RECENSIONI |
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